La Ferrari quest’anno è risorta, ha messo in difficoltà la Mercedes, Vettel ha contrastato Hamilton ma ormai l’inglese è ad un passo dal quarto titolo iridato. Nulla da fare anche per questa stagione. Così più passa il tempo e più la nostalgia di Michael Schumacher diventa forte. Fortissima.
Ricordate?
Quanti successi, quante emozioni, quanti mondiali, mai c’era stata una sequenza così lunga, anni e anni, come quella firmata da Schumi. Prima accolto freddamente, poi messo in discussione per le battute d’arresto, infine amato a forza di imprese. Una dolcissima dittatura.
Ricordate?
C’è stato un periodo nel quale era perfino venuto a noia tanto superiore a tutti.
Ora, a spingerci a premere il pulsante del telecomando, è solo la curiosità di conoscere quale sarà la posizione finale della monoposto di Maranello. Perchè le parti si sono rovesciate. Dopo il dominio Red Bull, quattro volte con Sebastian Vettel (2010-2013), poi approdato come un Messia a Maranello, si è passati a quello della Mercedes con Lewis Hamilton, due volte (2014-2015), e nel 2016 con Nico Rosberg. E quest’anno, solo questione di pochi punti, ritornerà lassù Lewis Hamilton.
Per la Rossa, quelle passate, invece sono sembrate stagioni lunghissime. Di attesa.
Allora sono tornati alla mente quei Gran Premi da padroni assoluti, con Schumi.
Riavvolgiamo il nastro della memoria e ripensiamo.
Il campione dei campioni del volante a guardare il curriculum di quanto vinto sul campo. In tutti i tempi. Imbattibile, indistruttibile, icona “uber alles”. Il più in tutto. Come trionfi e come ricchezza. Solo Ayrton Senna, per il carisma, la ricerca della perfezione, per la sensibilità e quel suo essere quasi fosse una stimmate che colpisce nell’anima, resta ineguagliato e ineguagliabile.
Per Schumi sette titoli mondiali, 91 successi, 68 pole position.
Dopo il ritiro, il secondo della carriera, il terribile destino, l’incidente drammatico sugli sci. Dopo aver rischiato la vita per vent’anni a 300 all’ora, l’incredibile caduta sulle nevi di Megeve.
Come fosse una tragedia greca.
Una carriera intensa, incredibile, che sembrava senza fine.
Mise la propria firma nel momento più drammatico della storia della Formula uno, la morte di Ayrton Senna. A Imola, il 1° maggio 1994, nel giorno più nero, fu testimone diretto dello schianto della Williams del brasiliano contro il muro della curva del Tamburello. Gli era dietro. Come fosse il passaggio del testimone in una staffetta. Vinse quel gran premio con la Benetton e, al termine della stagione, il suo primo campionato iridato. Non sembrò avere sbandamenti, anche se qualche anno più tardi, confessò di avere addirittura pensato al ritiro.
Doveva ancora iniziare ad essere Schumi.
Due corone mondiali con la Benetton, nel 1996 venne chiamato, da Luca Montezemolo e Jean Todt, come “salvatore” alla Ferrari. Un avvio difficile, talvolta disastroso, con macchine che perdevano i pezzi. Poi l’attacco ai piani alti della classifica. Quando sembrava che il sogno potesse avverarsi, la collisione voluta per fermare Jacques Villeneuve a Jerez de la Frontera, nell’ultimo Gran premio del 1997. Come una sfida all’Ok Corral, un colpo mortale. Per tutti, primi i tifosi della Rossa affamati di vittorie. Il freddo tedesco sembrò essere vulnerabile nei momenti nei quali il fattore umano conta ed è il campione a fare la differenza. Questione di tempo. Poi entrò nel cuore degli italiani. Li conquistò a suon di vittorie. Ma anche come uomo: gareggiò a Imola nel 2003 e l’adorata mamma era morta da poche ore; la tensione a Indianapolis mentre il fratello Ralf era fermo in pista per un grave incidente, la battaglia per far rispettare le proprie convinzioni a Monza dopo i drammatici fatti dell’11 settembre; l’assegno sostanzioso staccato per aiutare le popolazioni colpite dallo tsunami; sempre presente alle partite di calcio di beneficenza della Nazionale piloti con l’obiettivo di aiutare i più deboli e in difficoltà. Un uomo con la famiglia al centro della propria esistenza. Corinna, Gina Maria, Mick, i suoi amori, l’approdo sicuro nel quale si rifugiava. Sempre in silenzio, lontano da feste e gossip. Un antipersonaggio fuori dalle piste e anche questò colpì la gente. Un uomo normale.
Come pilota non si fermò più. Cinque titoli mondiali uno dietro l’altro, dal 2000 al 2004.
I campioni si distinguono in fretta. Il tocco che pare essere divino. Pelè, Maradona, Messi con il pallone, Coppi e Merckx con la bicicletta, Alì con i pugni, Lewis nell’atletica, Jordan nel basket… nati campioni, il talento nel Dna. Artisti nelle loro azioni, con il marchio di fabbrica personale inciso in ogni momento, anche il più piccolo.
Fuoriclasse.
Michael Schumacher, senza dubbio, uno di loro. Il più vittorioso stando alle cifre.
Fangio, Clark, Stewart, Prost, Senna, Schumacher…chi il migliore? Impossibili i confronti. In tutta la sua carriera ha pilotato come fosse la prima volta. Al massimo, come si trattasse del battesimo in gara. Una sfida con sé stesso prima che con gli altri. Vinceva e si divertiva. Correva e non si stancava. Continuava ad avere fame di trionfi. A macinare chilometri e mondiali senza accusare un minimo appannamento. Gli altri gareggiavano, rischiavano, lui si esaltava facendo traiettorie e staccate inimmaginabili per tutti. Con una naturalezza e facilità disarmanti.
Negli sport motoristici contano i mezzi, e molto. Ma per trovarne il limite, per riuscire ad avvicinarlo, senza mai superarlo, perchè questa è la fragilissima equazione delle corse, soltanto i grandi ne posseggono la soluzione. Enzo Ferrari diceva che in un qualche momento della vita di un asso del volante scatta qualcosa e la parabola all’improvviso si fa discendente. Michael Schumacher, quel momento, l’ha tenuto lontano da sé stesso più di tutti. In pratica non l’ha nemmeno conosciuto. L’ultima parentesi alla Mercedes ebbe il sapore di uno spot pubbliciario, da non essere considerato.
Talmente forte e vincente da diventare un problema per la stessa Formula 1. La sua superiorità raggiunse livelli tali da preoccupare Bernie Ecclestone, il boss del “circo” della velocità. “Per riportare l’interesse in Formula 1 bisognerebbe trovare un pacchetto di soluzioni per convincerlo a ritirarsi. Allora i Gran Premi sarebbero tutti d’alto spettacolo”, disse al termine del Gran Premio del Brasile, ultimo appuntamento del 2004. Schumi aveva appena conquistato il settimo mondiale.
Bloccarlo a casa, per manifesta superiorità, per ridare fiato agli altri e al movimento, l’obiettivo. Pensarono perfino a questo.
Michael Schumacher un grande pezzo di storia della Ferrari. Il più importante.
Simply the best. Semplicemente il migliore.
C’è tanta, tantissima nostalgia per quella che è stata una epopea lunghissima.
Michael Schumacher un pezzo di storia della nostra epoca.
Uno straordinario affresco.
* Tratto dal libro “Michael Schumacher Simply The Best” di Beppe Donazzan (Edizioni Ultra Sport – Roma)
* Beppe Donazzan, giornalista e scrittore