di Beppe Donazzan*
In nei giorni in Italia – era l’inizio di maggio 1992 – proprio tra la prima e la seconda regata della Coppa America di vela tra il Moro di Venezia e America3, si discuteva della candidatura di Milano ad ospitare i Giochi Olimpici nel 2000. A Venezia si era costituito un Comitato per promuovere la città lagunare quale sede delle regate veliche, delle gare di canottaggio, canoa, ginnastica e scherma. Una valida “spalla” se l’assegnazione fosse andata a buon fine. “Spendere” il nome di Venezia sarebbe sicuramente servito a rendere più “pesante” il nome di “Milano 2000” presso il Comitato Olimpico Internazionale. Ma subito la politica, in Consiglio Comunale, si mise a discutere.
Giorgio Lago, il direttore de “Il Gazzettino”, scrisse un pezzo in prima pagina, accennando anche al Moro e a Gardini.
“ Raul Gardini non sa cosa rischia se, vincendo a San Diego, riuscirà a portare la Coppa America nel Mediterraneo, con capitale Venezia. Potrebbe accadere di tutto; che lo accusino di incentivare il turismo di massa, che gli rimproverino di non aver reclutato l’equipaggio del Moro con il consenso del Consiglio Comunale, che gli chiedano la percentuale per aver utilizzato il nome Venezia.
Non scherziamo, ma c’è poco da ridere. Chi vivrà, vedrà; così per la Métro di superfice, per le Olimpiadi della vela, per tutto. Perché Venezia continua ad essere in balìa di due partiti, per definire i quali utilizziamo la sintesi di Massimo Cacciari: “Quello del non fare mai e quello del fare a tutti costi”.
Gli iscritti al primo si alzano al mattino domandandosi: a che cosa posso dire no oggi? Gustano la libidine del veto, coincidono con l’inerzia, contemplano la morte felice che però è tutt’altra cosa rispetto alle ultime pagine scritte da Camus.
Gli aderenti al secondo farebbero una pista di go-kart anche sotto le Procuratie, con partenza al Quadri e arrivo al Florian. Quando discutono di “sviluppo”, gonfiano cuore e libretto d’assegni.
Due partiti a oltranza, gli sviluppisti e i nullafacenti. A quelli basta un progetto qualunque per dire sì; a questi non interessa nemmeno conoscerlo per rispondere no. Professano due fedi così simili pur se opposte: il nulla o il tutto.
Nel bel mezzo, Venezia. Che vorrebbe conoscere, scegliere, fare qualcosa per crescere, senza faciloneria nei pregiudizi, tentando di tenere a debita distanza tanto gli affaristi quanto i necrofori. Magari provando per la prima volta a smascherare i troppi parassiti della “Città più bella del mondo” e coloro che persino della tutela conservativa fanno comodo privilegio.
Leonardo Sciascia spiegò, tra innumerevoli incomprensioni, che – non solo con la mafia – ma anche con l’antimafia si può fare carriera. Ci vorrebbe un nuovo Sciascia che spiegasse con altrettanta lucidità come si possa usare Venezia anche sbandierandole addosso un estatico amore”.
La candidatura di Milano non andò in porto, le Olimpiadi vennero assegnate a Sydney, ma a distanza di tanti anni, il “fondo” di Giorgio Lago, scritto nel maggio 1992, resta un pezzo profetico, d’attualità. Con il nome Roma a sostituire quello di Venezia.
* Tratto dal libro “Il Moro di Venezia e il sogno di Coppa America” di Beppe Donazzan (Edizioni Mare Verticale)
* Giornalista e scrittore