di Franco Soave*
L’avevano soprannominata Sherlock Holmes dell’alpinismo, ma era decisamente più dolce Miss Himalaya. Elizabeth Hawley, madre dell’Himalayan Database, la più grande raccolta dati esistente sulle montagne himalayane, è morta serenamente venerdì scorso in Nepal all’ospedale di Kathmandu per un’infezione polmonare. Aveva 94 anni. E subito la notizia ha fatto il giro del mondo. Perché Miss Hawley era rispettata, e forse anche temuta, dalla comunità alpinistica mondiale.Non esiste salita, vetta, spedizione o tragedia che lei non abbia documentato e certificato, dopo controlli incrociati perché nulla fosse lasciato al caso. E se l’exploit del momento riceveva il suo “timbro” si poteva essere certi che fosse tutto vero, non c’era pericolo di fanfaronate, di bugie. Il copione era sempre lo stesso. All’arrivo di una spedizione o di un gruppo di alpinisti a Kathmandu, Elizabeth Hawley, che aveva un ufficio nella capitale, li contattava o li raggiungeva con il suo Maggiolino blu del 1965, chiedeva notizie sulla meta e se ne andava. Stessa trafila al rientro degli alpinisti, domande e ancora domande, richiesta di informazioni, magari qualche foto e solo dopo un’ulteriore serie di controlli, se tutto quadrava, Miss Himalaya certificava la cima.
Elizabeth Ann Hawley era nata il 9 novembre 1923 nell’Illinois, a Chicago. Dopo gli studi universitari nel Michigan e la laurea in Storia si trasferì a New York dove iniziò a collaborare con la rivista Fortune. Ma evidentemente quel lavoro stava stretto alla giovane Elizabeth la quale iniziò a viaggiare tanto che nel 1959 giunse nel Nepal, che da poco aveva aperto le frontiere agli stranieri. Hawley iniziò così a collaborare prima con Time-Life, poi con l’agenzia di stampa Reuters. L’episodio che avrebbe per sempre cambiato la sua vita avvenne nel 1963, quando a una spedizione americana riuscì la prima traversata dell’Everest: salita da un versante e discesa da quello opposto. Elizabeth fu la prima a dare la notizia e da quell’episodio capì che ciò che accadeva sul Tetto del Mondo, come viene chiamata la catena himalayana, sarebbe diventato il suo lavoro. Ebbe due maestri d’eccezione, il colonnello inglese Jimmy Roberts e Edmund Hillary, l’uomo dell’Everest.
Era la persona giusta al posto giusto nel momento giusto anche per un’altra ragione. In quegli anni era cominciata la conquista (allora sì, si poteva dire così) degli Ottomila, la corsa alle quattordici montagne più alte della terra. Nel 1950 i primi furono i francesi Maurice Herzog e Louis Lachenal sull’Annapurna, nel 1953 seguirono l’Everest con Edmund Hillary e lo sherpa Tenzing Norgay, e il Nanga Parbat con la cavalcata solitaria dell’austriaco Hermann Buhl, l’anno successivo capitolò il K 2 con Achille Compagnoni e Lino Lacedelli. Era iniziata la grande avventura himalayana, che continua tuttora. Perché alle prime salite seguì la corsa al Grande Slam, la salita di tutti i quattordici Ottomila da parte di un unico alpinista, che incoronò Reinhold Messner; successivamente toccò alle grandi pareti, poi alle montagne meno alte ma più difficili, ora è la volta delle ascensioni invernali.
Miss Hawley, dunque, negli anni Sessanta iniziò ad annotare tutto: date, cime, versanti, salite, successi, insuccessi, drammi. La sua parola era considerata definitiva, la sua scrupolosità leggendaria. Anche se non aveva mai salito alcuna montagna. Lei stessa confermò che l’unica cima che calpestò fu il vertice di una piramide di Giza, in Egitto. Per conto di Edmund Hillary gestì l’Himalayan Trust, un fondo istituito dallo stesso Hillary che offre borse di studio ai ragazzi nepalesi; per vent’anni fu console onorario della Nuova Zelanda in Nepal, era membro onorario dell’Alpine Club di Londra e fu la prima destinataria del Nepal National Sagarmatha Award.
Nel 1991 assieme a Richard Salisbury iniziò a trasferire tutti i dati, che lei scriveva scrupolosamente a mano, in un computer. Nacque così l’Himalayan Database che raccoglie le informazioni di oltre un secolo di spedizioni, dal 1905 al 2017, e di più di 450 vette nepalesi. E solo due anni fa passò il timone alla sua assistente Billi Bierling. Infine, da pochi mesi l’Himalayan Database è stato reso gratuito online, chiunque può collegarsi al sito e consultarlo senza spendere nulla.
“Mi ritiro quando morirò, ma potrebbe essere la stessa cosa”, scrisse nel suo libro The Nepal Scene. Una decina di giorni fa, Elizabeth Hawley fu colpita da un’infezione polmonare e venne trasferita all’ospedale della capitale nepalese. Le sue condizioni non migliorarono e nelle prime ore di venerdì se ne andò. In silenzio, senza clamori. “Ha avuto una morte molto tranquilla”. Sono le uniche parole di Prativa Pandey, la dottoressa che l’ha accompagnata nell’ultimo viaggio.
(*) La foto di Elizabeth Hawley, tratta da Wikipedia, è stata scattata il 15 novembre 2011 a Kathmandu dall’alpinista iraniano Parvaneh Kazemi dopo la salita dell’Ama Dablam.
*Giornalista