di Franco Soave*
“The Bird” ha piegato le ali per l’ultima volta. Non volerà mai più. Jim “The Bird” Bridwell, leggenda dell’alpinismo americano e mondiale, è morto venerdì scorso in un letto di ospedale a Palm Spring, in California. Aveva 73 anni. Da mesi era malato, colpito da una forma di epatite che aveva contratto in passato, probabilmente durante un viaggio-spedizione nel Borneo. Per aiutare la famiglia a sostenere le spese mediche, due mesi fa era stata organizzata anche una raccolta fondi alla quale la comunità alpinistica aveva risposto immediatamente e con grande partecipazione. Purtroppo, è stato tutto inutile. Bridwell è spirato venerdì alle 11 circa e poco dopo la notizia è stata diffusa dal figlio Layton con un post su Facebook.
James Bridwell era nato in Texas, a San Antonio, il 29 luglio 1944. Il padre, Donald, era pilota di aerei durante la seconda guerra mondiale; la madre, Miriam Boxwell, era casalinga con una grande passione per la pittura. Jim si avvicinò al mondo dell’arrampicata da adolescente e la moglie Peggy ricorda come la passione fece breccia grazie all’osservazione degli uccelli: “Ha iniziato ad arrampicare perché era affascinato dai rapaci, si arrampicava per osservare il loro habitat e il modo di volare”, ha raccontato Peggy a Neil Genzlinger del New York Times; forse per questo Bridwell era soprannominato “The Bird”.
La storia alpinistica di Bridwell ha origine nel luogo mito dell’arrampicata statunitense, quella Yosemite Valley californiana che tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta del secolo scorso vide nascere e svilupparsi l’idea di arrampicata pulita e libera (clean climbing e free climbing, appunto), anche se i concetti fondamentali erano vecchi di decenni, avevano il volto e le parole di un inglese e di un austriaco, rispettivamente Frederick Mummery e Paul Preuss. Fu una vera e propria rivoluzione che investì la cultura e la società, non solo il modo di affrontare le grandi pareti delle montagne. Perché i protagonisti erano i ribelli, gli hippie, i sognatori, i contestatori dei canoni classici nel mondo come nell’alpinismo. Il primo grande attore della new age fu un fabbro di origine svizzera che emigrò negli Stati Uniti nei primi anni del Novecento, John Salathé. Questi iniziò l’esplorazione alpinistica di Yosemite grazie anche all’invenzione di chiodi da roccia che sul granito americano si dimostrarono molto più affidabili di quelli utilizzati sulle Alpi. Ma i primi veri fuoriclasse furono Royal Robbins e Warren Harding, due forti personalità spesso in antitesi sui mezzi utilizzati per la progressione in parete, i quali tra gli anni Sessanta e Settanta concentrarono attorno a sé una pattuglia di fortissimi climber quali Ray Jardine (ingegnere aerospaziale), Yvon Chouinard ( creatore del marchio Patagonia), Chuch Pratt, Tom Frost, Ron Kauk, solo per citare qualche nome.
Il palcoscenico dove andavano in scena le fantastiche rappresentazioni di questa “banda di matti”
erano le formidabili pareti di due montagne-simbolo di Yosemite, El Capitan e l’Half Dome, vere “big wall”, grandi pareti, lavagne di granito alte mille metri, solcate da piccole fessure, senza interruzioni orizzontali, nelle quali la progressione era possibile solo con una eccezionale preparazione fisica e mentale. A poco a poco lungo le pareti fiorirono numerose vie estreme, mentre si fece sempre più strada la clean climbing. In pratica, si sale cercando di utilizzare sempre meno mezzi artificiali, l’arrampicata dunque da libera diventa pulita.
E questo fu il momento di Jim Bridwell. Fisico possente, lunghi capelli alle spalle e due baffoni spioventi, “The Bird” raccontò che la prima salita in Yosemite avvenne in occasione del suo diciottesimo compleanno nel 1962, e che per arrampicare “ho dovuto prendere in prestito le scarpe di un cameriere”, un paio di stivali da lavoro. Da allora Bridwell non si è più fermato, ha aperto oltre cento vie soltanto nella Yosemite Valley, e fu tra i primi a praticare tecniche di allenamento prima di affrontare le grandi pareti. Ha dell’incredibile la prima salita in giornata della via The Nose, sul Capitan, nel 1975 assieme a John Long e Billy Westbay: soltanto 15 ore quando i primi salitori nel 1958 impiegarono 47 giorni e la media, ancora oggi, è di circa quattro giorni. Per molti anni Jim Bridwell rappresentò l’essenza della capacità alpinistica negli Usa ma non si limitò alle “big wall” della California. La sua impronta rimane anche in Patagonia, dove durante il periodo natalizio del 1978 assieme a Steve Brewer in un giorno e mezzo salì il Cerro Torre, per la prima volta compreso l’immenso fungo di ghiaccio sommitale. Fondamentale fu la sua esperienza nella costruzione di nuovi materiali, nell’innovazione delle tecniche di arrampicata e nell’organizzazione del primo team di soccorso in Yosemite, lo Yosemite National Park’s Search and Rescue Team (Yosar). Fu impegnato pure come consulente nell’industria del cinema, e in questa veste collaborò alle riprese di Cliffhanger, film con Silvester Stallone girato anche tra le Dolomiti. “The Bird” compì imprese memorabili in Alaska, partecipò a spedizioni in mezzo mondo, attraversò il Borneo, riuscì a circumnavigare l’Everest ma non amava particolarmente l’ambiente himalayano: “Non c’è niente di peggio – disse un giorno all’alpinista svizzero Romain Vogler – che marciare nella neve con un grosso sacco sulle spalle. Fa freddo ed è noioso”.
Nella foto Billy Westbay, Jim Bridwell (al centro) e John Long dopo la prima ascensione in giornata del Nose (El Capitan), sullo sfondo, nel 1975. Foto tratte da Wikipedia, file concessi in licenza da Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0.
*Giornalista