Commenta il professor Foresta: “Se si considera che la presenza dei PFAS è stata riscontrata nel cordone ombelicale e nella placenta di donne esposte, si può ipotizzare una precoce interferenza dei PFAS sullo sviluppo gonadico e sulla documentata riduzione di sviluppo nell’altezza e nel peso dei figli nati da queste donne esposte. Questi risultati suggeriscono che i PFAS, fra le tante sostanze inquinanti ambientali, possono avere un ruolo nell’universalmente riconosciuto incremento delle patologie andrologiche, come infertilità, il criptorchidismo, i tumori del testicolo.”
Questa dei Pfas peraltro si inserisce in una tendenza più vasta: l’ambiente si sta progressivamente arricchendo di prodotti inquinanti, principalmente di residui chimici, della plastica e dei suoi prodotti di degradazione, ai quali l’uomo e gli animali possono essere esposti attraverso l’alimentazione, le acque e il contatto stesso. Queste sostanze definite “interferenti endocrini”, possono alterare l’equilibrio e la funzione degli ormoni interagendo o interferendo con la normale funzione ormonale e portando effetti avversi sulla salute.
In accordo con queste ipotesi, il gruppo di ricerca dell’Università di Padova, coordinato dal professor Foresta, ha infatti dimostrato che i ventenni del terzo millennio, oltre ad una minor produzione di spermatozoi, hanno una maggiore altezza, una maggior lunghezza degli arti rispetto al tronco, una riduzione del volume del testicolo e una riduzione della lunghezza del pene (-0.9 cm) rispetto a precedenti osservazioni. Tutti questi segni depongono per una interferenza da parte dei composti chimici ambientali sulla attività degli ormoni testicolari anche nell’uomo. Pertanto la scoperta del meccanismo attraverso il quale i PFAS interferiscono con l’attività del testosterone assume un importante rilievo clinico-sperimentale.
Struttura del recettore del testosterone con Testosterone (in blu) e PFAS (in verde) che riconoscono lo stesso sito di legame con conseguente riduzione del 50% dell’attività del recettore.