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I magnifici 8 alla conquista della seconda vetta d’Africa: “Un’esperienza che ci ha arricchiti”

di Franco Soave*

L’esperienza dell’Africa e dell’alta quota del Monte Kenya è stata senza dubbio affascinante. Faticosa, certo, ma soprattutto qualcosa che rimarrà nella mente e nel cuore degli otto amici del Cai di Mestre che hanno partecipato a “Kenya Expedition 2017”, viaggio-spedizione con l’obiettivo di salire la seconda vetta dell’Africa. La meta erano le tre cime del Kenya, Lenana (4985 metri),  Nelion (5188) e Batian (5199), seguendo la via aperta nel 1929 da Eric Shipton, alpinista ed esploratore britannico. Gli otto soci, tutti componenti della scuola di alpinismo Cesare Capuis, hanno così voluto celebrare il cinquantenario della scuola in modo diverso dagli istruttori, i quali durante la scorsa estate hanno salito cinquanta cime. Partenza la vigilia di Natale, ritorno una ventina di giorni dopo. Racconta com’è andata Francesca Fungher, 36 anni, giornalista, una degli otto (gli altri sono: Alessandro Bonaldo, 64 anni, pensionato; Enrico Dalla Costa, 27, ingegnere; Luca Farese, 26, addetto laboratorio oftalmico; Erica Galvan, 37, project manager; Federico Piovesan, 30, tecnico ambientale e di sicurezza sul lavoro; Nicola Pusterla, 29, mechanical designer; Andrea Tagliabracci, 30, commercialista).

Il gagliardetto del Cai Mestre in cimaIl gagliardetto del Cai sulla cima

 Francesca, com’è andata? Ora avete tutti il Mal d’Africa?

“Il lavoro certosino fatto soprattutto da Erica e Federico per organizzare il viaggio è stato fondamentale, anche se ci sono stati inevitabili aggiustamenti del programma e piccoli imprevisti. Ma abbiamo gestito sempre tutto con buonsenso e – compatibilmente con la stanchezza – anche con un po’ di ironia”.

– Come avete vissuto il trekking di avvicinamento e la parte alpinistica?

“Tutto liscio, anche per la capacità del gruppo di gestire gli inevitabili imprevisti che ci hanno dato modo di entrare più a fondo nelle questioni, confrontandoci pure con le guide locali e gli altri alpinisti”.

In cammino verso il Monte KenyaIn cammino verso il Monte Kenya

Quali sono stati i momenti più difficili?

“Credo che ciascuno di noi abbia avuto il suo momento difficile. Ma per i quattro amici che hanno salito Punta Nelion, penso che le circostanze più delicate siano state la gestione della grande fatica unita alla difficoltà di scalare a 5.000 metri, mai provata prima, e il confronto con i propri limiti davanti a una parete che viene valutata “facile”, ma che alla fine tanto facile non è”.

– Questo per gli alpinisti. Per gli altri, invece?

“Per me fisicamente è stata la discesa dall’Austrian Hut alla Met Station, attraversando tre fasce climatiche in un solo giorno, scendendo di quasi duemila metri. Difficile anche il momento in cui ho avvertito i primi sintomi dell’alta quota (nausea e mal di testa): ho temuto di compromettere una parte del viaggio, cosa che per fortuna non è accaduta”.

Pausa durante il trekkingPausa durante il trekking

L’ascensione vera e propria: più difficile del previsto o tutto secondo i piani?

“Dal punto di vista dei tempi e delle condizioni è stata com’era prevista. Partenza dall’Austrian Hut (una sorta di rifugio a 4.790 metri; ndr) alle 4.45 circa e arrivo alla base della parete alle 6. All’alba i ragazzi hanno attaccato la via e a mezzogiorno sono arrivati in cima alla Nelion, tra nebbia e neve. Hanno rinunciato a Punta Batian per la stanchezza e le condizioni sfavorevoli, ma anche questo era stato previsto. Comunque dopo avere bivaccato all’Howell (minuscola capanna accanto a Punta Nelion, a quota 5,188; ndr), il giorno dopo in quattro ore sono ridiscesi. La vera difficoltà è stata la fatica legata alla quota, che ha reso più ardua del previsto la salita”.

Mestrini e Kenyani (o Kenyoti)Mestrini e Kenyani

Come sono stati i rapporti con le popolazioni locali?

“Divertenti, arricchenti dal punto di vista umano e personale, molto più ‘lisci’ di quanto avremmo potuto pensare. Abbiamo una profonda gratitudine per il supporto ricevuto da portatori, cuochi e guide, per la loro disponibilità e per la montagna di cibo che ci hanno cucinato: nessuno ha perso l’appetito nemmeno a 5.000 metri! E poi anche trovare la giusta chiave per comunicare con persone che appartengono a una cultura diversa dalla nostra fa parte di un viaggio di scoperta, no?”

Foto sopra: Cima Nelion


SOAVE*Giornalista

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