di Carlotta Fassina*
Sciliar, senti anche tu?
Un verso acuto e metallico si propaga col vento notturno. Poco dopo in lontananza risponde un’altra voce, con la stessa frase. Sembra un messaggio in codice: un suono lungo, poi due o tre suoni brevi, di nuovo un suono lungo tremolante e poi pausa. Impossibile vederne la fonte, è certamente da qualche parte, in alto, tra gli alberi più alti.
Sono i maschi degli allocchi, caro Sciliar, e cantano perché la stagione riproduttiva è iniziata: informano i rivali che lì c’è il loro territorio, il luogo prescelto per il nido. Le grosse dita piumate possiedono artigli affilati: uno scontro diretto non è auspicabile, conviene contendere a voce, disegnando tutt’intorno confini eterei, come fiato su vetro, come onde in un lago di buio.
Siamo nel borgo adiacente al parco di Villa Barbarico a Valsanzibio, sui Colli Euganei. Sembra di essere in un luogo fuori dal tempo, con le pertinenze della villa seicentesca dal malinconico e affascinante aspetto decadente. Le colline boscose contornano il parco e la vallata, la via che risale costeggiandolo smorza in un sentiero quindi ci sono pochi rumori, per lo più fruscii e cigolii nel vento. La strada pedecollinare è sempre più lontana e i suo fastidi arrivano ovattati. I lampioni dall’aspetto antico danno una cadenza al nostro incedere creando chiaro – scuri di muri, mattoni e crepe.
Gli allocchi sono ormai al nido, i loro pulli dal piumino bianco cotone potrebbero essere già nati o farlo a breve. I genitori si alterneranno nella cavità prescelta, entro un albero, su roccia o in muratura, portando alla prole prede diverse in grado di saziare grandi appetiti.
Nei boschi di latifoglie collinari i vecchi castagni che hanno lottato contro il cancro corticale fanno delle loro ferite fori adatti a svariati animali, dai ghiri ai pipistrelli, ai rapaci notturni. Questa specie in tutta Italia predilige proprio i castagneti, adattandosi comunque ad altre tipologie boschive e ai parchi urbani. La pratica della ceduazione intensiva toglie però rifugi spesso insostituibili, mentre i tagli in periodo sbagliato possono condannare a morte la prole rimasta senza nido. Ricordo gli allocchetti che arrivavano al modesto centro di recupero della Lipu di Padova (quando era ancora attivo), proprio perché i loro alberi erano stati tagliati. Se erano molto piccoli noi volontari indossavamo la maschera di cartone su cui avevo colorato le fattezze dell’adulto, allo scopo di evitarne l’imprinting sull’uomo. Crescendo i pulli sviluppavano a ciuffi il piumaggio mimetico caratteristico dell’adulto (come l’esemplare in foto) e dimostravano una tempra combattiva attraverso il classico atteggiamento terrifico dei rapaci notturni, volto a intimorirci: penne arruffate, corpo ribassato, becco battente, emettevano versi simili a soffi e agitavano le zampe artigliate come a colpirci. Sono quasi sicura che ti saresti tenuto a distanza anche tu. La natura di solito offende solo quando c’è necessità, altrimenti mette in scena bluff fantasiosi ed esibizioni d’armi.
Sono belli gli allocchi, hanno due diverse versioni di colore, una più rossiccia e una più grigia, che portano maschi e femmine indistintamente, un grosso capo e quegli occhi neri incredibili che condividono soltanto con i più rari barbagianni.
Ogni tanto cercano di catturare topi lungo le arterie viarie oppure le attraversano volando bassi in caccia, capita così che finiscano investiti; trovarli morti, anche in città, è una sorpresa molto triste. Fratture da impatto, soprattutto contro automobili o cavi aerei, imbrattamento con colle per topi, avvelenamento da topicidi e salmonellosi da piccione sono le principali cause di ricovero per questa specie protetta.
Se torneremo sui Colli di sera tra un po’ di tempo e se saremo davvero fortunati, potremo sentire i “pit-ssiii” emessi dai giovani ormai involati per chiedere ancora il cibo ai genitori.
Speriamo Sciliar che la difficile situazione in cui si trovano molti centri di recupero per animali selvatici si risolva presto e che tanti allocchi possano continuare a essere salvati e liberati, ma soprattutto che possano vivere in pace, al riparo dalle insidie umane.
“Uuuuùo – ùo – ùo – uuuùo”. Sì Sciliar, ho sentito. Un ultimo richiamo avviluppato nella tenebra ci avvisa che stiamo uscendo dal confine invisibile e dalla natura notturna. Bonne chance mes amis.
*Laurea in Scienze Naturali