di Beppe Donazzan*
Non se l’aspettava proprio un inizio così nel 1994. La delusione, il volto tirato e tanta, tanta tristezza, la fotografia di Senna (San Paolo 21 marzo 1960 – Imola 1 maggio 1994) seduto sul muretto di quella curva ad Aida in Giappone.
Schumacher, venti punti di vantaggio. Venti a zero. Inaspettato per tutti.
Ripensava a quanto accaduto in quei primi mesi, mentre stava per arrivare in Italia. A Padova.
Imola – chi l’avrebbe detto? – era diventata la gara più importante della stagione, quasi un’ultima spiaggia per il suo Mondiale.
Con il fratello Leonardo, Jacobi e Ubirayara, Ayrton, all’interno del jet personale, riprende a parlare di affari, della nuova linea di mountain bike realizzata dalla Carraro di Padova, alla quale ha legato il suo nome.
Mesi addietro, prima di dare l’assenso all’operazione, aveva voluto vedere i disegni, aveva dato suggerimenti, aveva voluto che il prodotto fosse al top, in linea con il suo nome, “Driven to perfection”.
Ed era proprio Padova, giovedì 28 aprile 1994, la tappa dell’avvicinamento a Imola. L’Hawker 800 atterrava in perfetto orario, alle 11.25, sulla cortissima pista dell’aeroporto padovano “Allegri”.
A Imola non posso sbagliare
“Se non fosse per lui, non vivrei mai in questa merda di mondo. Non ne posso più di questa Formula 1”. Betise Assunçao è la preziosa, inseparabile ombra di Ayrton sui campi di gara. È la press agent, il punto di riferimento per tutti i giornalisti che seguono il Gran Premio. Curare l’immagine, pianificare appuntamenti e interviste, stendere resoconti e inviarli a tarda sera, via computer, alla sede della Senna Promoçoes, questo il suo lavoro. Betise, un tassello fondamentale nella complessa organizzazione della “macchina” Ayrton Senna fuori dalle piste.
Valigie sempre in mano, sale stampa e aerei eletti a propria dimora. Non bella ma carina, Betise. Quel tipo di ragazza brasiliana che non può non piacere. Sempre sorridente, dolcissima con tutti, lo spot del perfetto addetto stampa. Capelli lunghi raccolti sulle spalle, occhi scurissimi, seni generosi, T-shirt e jeans attillati l’uniforme da lavoro. Portoghese, inglese, francese e italiano i suoi lasciapassare nella Babele di lingue dei cronisti del “circo”.
Non ha mai amato la frenesia della Formula 1. Soprattutto, ha sempre detestato le rivalità, le bugie, le ipocrisie, distintivi sovrani nel mondo dei 300 all’ora. Ayrton è diverso dagli altri, e lei vive per Ayrton, questo la spinge ad andare avanti, a superare stress e arrabbiature, ad essere efficiente e premurosa spalla del “suo” campione in qualsiasi momento della giornata. Da Rio a Montecarlo, da Montreal a Imola. Per 365 giorni all’anno, notte e giorno. Un lavoro oscuro, ma estremamente prezioso.
Anche a Padova è arrivata puntuale, martedì 26 aprile, per preparare la visita di Ayrton. Assieme a Celso Lemos, responsabile dei contratti della holding, Betise, prima di recarsi a Imola, è stata incaricata di seguire da vicino l’organizzazione della conferenza stampa di presentazione delle mountain bike, prodotte dalla Cicli Carraro di Saccolongo, che porteranno il marchio Senna. Un’occhiata alla sala Mantegna dell’hotel Sheraton, dove è in programma la presentazione, un controllo alle cartelle stampa in tipografia, un ritocco alla scaletta degli incontri e degli orari. Un giorno e mezzo gomito a gomito con Enrico Cuman, titolare dell’agenzia pubblicitaria Il Telaio di Bassano del Grappa, e con Andrea ed Enrico Carraro, dell’azienda produttrice delle biciclette. Scrupolosa e perfezionista come il suo datore di lavoro.
Questo con la Carraro è il secondo contratto “veneto” di Senna. Un anno prima c’era stata la firma con la De Longhi per la commercializzazione degli elettrodomestici della casa di Treviso in Brasile. Un buon affare per entrambi. Nel business entravano ora le bici.
Il Senna pubblico è documentato, passo passo, dal fotografo personale Noiro Koike, al quale si affianca, quasi sempre, una troupe di Rede O Globo, la maggiore emittente televisiva brasiliana. Anche la trasferta d’affari a Padova è un avvenimento per il Brasile disperato che adora e che lo adora. “Il Brasile è dentro il mio cuore. Ne sento la mancanza e, ogni volta che torno, provo una gioia infinita. Quando decisi di venire a correre in Europa, è stato molto, molto difficile separarmi dal mio Paese. Tanta saudade. Ancora oggi non riesco a vivere bene qui da voi”.
Proprio per sentire meno la nostalgia, la lontananza, per continuare a parlare e sentir parlare la propria lingua, Ayrton aveva lasciato il lussuoso appartamento nel centro residenziale di Fontvieille a Montecarlo e si era trasferito in Portogallo, nella verde e tranquilla Algarve.
Il Senna privato, schivo, impossibile da avvicinare. “Mi basta tornare a casa per essere quello di un tempo. Mi piace giocare con gli amici e con la mia famiglia. Mi sento tanto bambino. C’è bisogno di equilibrio tra serietà e spensieratezza, e questo equilibrio penso di averlo trovato. Potrei dare l’impressione di essere freddo, ma non è così. Ho un cuore. Mi è accaduto di piangere in pubblico. Sono un emotivo e per questo ringrazio Dio, perché la vita, senza emozioni e senza amore, è priva di senso. Alcuni, me ne accorgo subito, mi amano, altri mi detestano. È stato difficile trovare un equilibrio in mezzo a questa diversità di sentimenti. Ciò mi ha portato a vivere nella maniera più solitaria possibile”.
Deus Armand di Rede O Globo inquadra con la telecamera l’Hawker 800 che si arresta nel piazzale dello scalo padovano. Quanti Gran Premi, quante interviste, quante trasferte in giro per il mondo per documentare le imprese del tricampeao. Ed anche quel giovedì 28 aprile è là, con la sua Sony in spalla, attento a non perdere gli attimi che contano. Deus Armand, come la maggior parte dei presenti, è anch’egli sulla strada per Imola.
Fa caldo a Padova. Il profilo dei Colli Euganei è sfuocato dall’afa.
Dalla scaletta un cenno con la mano, il suo viso che sembra sempre mostrare imbarazzo, il sorriso timido, lo sguardo triste che fa impazzire le ragazze. Eccolo Ayrton. Il programma è calcolato al minuto: visita alla fabbrica Carraro, poi via allo Sheraton per la presentazione delle mountain bike.
Ad una cinquantina di metri dall’Hawker c’è l’Agusta 109 bianca e blu dell’Alpi Eagles, con le pale già in movimento. Deus Armand continua a filmare Ayrton all’interno dell’elicottero, mentre parla con il fotografo Koike e con Enrico Cuman che fa gli onori di casa. Cinque minuti di volo, poi l’atterraggio sul piazzale erboso della fabbrica. Un centinaio sono le persone ad attenderlo. Per lo più dipendenti dell’azienda che lo vogliono vedere, salutare. Ayrton si ferma a parlare, stringe mani, firma autografi, gesti spontanei e consueti che fanno sentire gli interlocutori importanti. Sensibilità e cortesia, i segreti del suo incredibile successo con la gente.
I Carraro lo invitano a visitare lo stabilimento, le linee di montaggio dalle quali usciranno le biciclette firmate, gioielli di alta tecnologia. Ayrton li segue curioso. È attento quando gli spiegano le metodologie di costruzione. Ritorna bambino. Racconta la storia della biciclettina gialla che tanto desiderava e che era stata il primo regalo della sua vita. “Avevo quattro anni e quella bicicletta l’avevo vista nella vetrina di un negozio. Dopo pochi giorni ho portato là mio padre Milton per acquistarla. Ci ho giocato tanto. Quante corse e quanti ruzzoloni! Ero talmente affezionato alla mia biciclettina gialla che ho continuato a usarla anche quando ero diventato grande e facevo fatica a pedalare. Con gli amici facevamo delle gare strane. Vinceva chi arrivava per ultimo. I miei surplace erano interminabili. Ero abile, andavo pianissimo”.
I ricordi, l’infanzia, la nostalgia del passato sono per lui tranquillanti che gli fanno tornare la serenità interiore.
Si sofferma davanti a una bacheca con le coppe vinte dalla squadra Carraro. La competizione, il suo credo. “Io non corro né per gloria, né per denaro. Corro perché mi piace fare il pilota. Il mio mestiere mi dà una quantità infinita di emozioni. E queste non sono altro che il riflesso dell’amore che ho per le corse. Quando non vinco mi sento bloccato, come se fossi un infermo”.
Betise si aggira nervosamente nella hall dello Sheraton. Ha in mano una cartella sulla quale è appuntata la scaletta della giornata. “Hai deciso cosa fare?”, mi dice quasi seccata per non averla ancora informata su come intendo condurre la presentazione. “Con lui andrò a ruota libera, senza programmare niente. Viene meglio…”, le rispondo.
Il rumore dell’elicottero che sta atterrando è come una scarica elettrica per le trecento persone che lo stanno attendendo. Una parte corre verso l’esterno per vederlo arrivare, un’altra cerca la sistemazione nelle prime file della grande sala congressi.
Deus Armand continua a filmare. Il servizio per Rede O Globo deve essere corredato dalle immagini più significative della giornata padovana. Ed è anche la presentazione della prima sessione di prove del Gran Premio di San Marino, che si correrà fra 24 ore.
Giacca verde, camicia e pantaloni bianchi, cravatta disegno cachemire, Ayrton cammina lento circondato dalla gente. Non si vuole sottrarre all’abbraccio. Prima di entrare nella sala, gli sussurro come inizierò la conferenza: “Prima presentiamo la bici, poi parliamo di Imola…”. “Va bene”, risponde ubbidiente. All’ingresso, afferra la bici che gli porgono ed entra nella sala tra gli applausi. Con la sua dolce cantilena rilassa e ipnotizza la platea. Una ragazza gli chiede se la Ferrari rientra ancora nei suoi programmi. “Fin da piccolo è sempre stato il mio sogno. Volevo diventare pilota e ci sono riuscito. Volevo diventare campione del mondo e anche quest’obiettivo sono riuscito a centrarlo. Con la Ferrari sono andato molto vicino ma, all’ultimo momento, non sono riuscito a concretizzare l’ingaggio. Allora l’ho fatto perché un bel sogno non si deve guastare. Per non rovinare nulla bisogna che il matrimonio avvenga al momento più opportuno. Non avrebbe senso guidare una Ferrari e prendere tre secondi in gara. La vittoria sarebbe soltanto un’illusione. E in Formula 1 non c’è spazio per le illusioni”.
Un’ora sotto il tiro di domande. Finita la conferenza, in una saletta privata, una lunga confessione, quasi uno sfogo sulla situazione della Formula 1. “Negli ultimi tempi se ne sono andati molti personaggi. A questa Formula 1 sta venendo a mancare ciò che vuole la gente: il grande pilota, il grande personaggio dentro e fuori le piste. Per lo show business è un periodo di transizione molto pericoloso. Se ne sono andati Mansell, Prost, Patrese, piloti che avevano fatto la storia delle corse. Guidare veloce una macchina è una cosa. Ci sono dei piloti in grado di farlo, ma non basta. La gente, sulle piste, non viene per la macchina. A parte la Ferrari – ma è un caso unico – la gente viene per l’uomo. Per il suo coraggio, per il suo carattere, per la sua personalità, per quella capacità di dominare il mezzo. È l’uomo ad emozionare, non la macchina. Se viene a mancare l’uomo con la U maiuscola, cade anche l’interesse, la motivazione, lo stimolo a seguire le corse”.
Parla del mondiale per lui in salita. “Schumacher ha un bel vantaggio, ma il campionato non è ancora finito. Noi della Williams abbiamo accusato dei problemi che spero non si ripresentino più. Imola è una pista veloce, dove la potenza del motore Renault 10 cilindri mi dovrebbe aiutare. Potrebbe cambiare i valori espressi finora. Le corse sono imprevedibili, ma certo a Imola non posso sbagliare”.
Da Padova a Imola in elicottero. L’inizio del più atroce weekend della Formula 1.
tratto dal libro “IMMORTALE, AYRTON SENNA IL CAMPIONE DI TUTTI” Edizioni Ultra Sport Castelvecchi Roma 2014
- giornalista, autore del libro “IMMORTALE, AYRTON SENNA IL CAMPIONE DI TUTTI”