di Carlotta Fassina*
Caro Sciliar,
stavolta hai dovuto stare a casa e ti sei perso un incontro speciale.. Questa Pasqua siamo stati in Sicilia, alle pendici del più grande vulcano d’Europa, l’Etna. Volevamo fotografare i variopinti fiori che ammantano i prati in primavera, nel breve periodo che costringe le piante erbacee ad accelerare il loro ciclo vitale, sì da produrre i semi e assicurarsi una discendenza per la primavera successiva, prima dell’arrivo della calura che tutto avvizzisce e secca.Non immaginavamo però una simile moltitudine di forme e di colori e quel sottile profumo che permeava l’aria.
(Basalti a cuscino ( pillow lava) vicino a Aci Castello)
Speravamo anche di osservare molti rapaci durante la loro migrazione dall’Africa verso i luoghi riproduttivi europei, ma non siamo stati altrettanto fortunati, nonostante alcuni sorvoli, tra le continue folate di vento, di aquile minori, falchi di palude, poiane e nibbi reali. Ormai non è facile trovare tratti di spiaggia “selvaggia”, con le caratteristiche formazioni dunali e la vegetazione tipica: ovunque, da nord a sud, abbiamo steso lungo le nostre coste cemento, città e infrastrutture, spesso senza una programmazione razionale che potesse conservare, almeno in parte, la bellezza degli ambienti naturali, anche solo come attrattiva turistica, come valore aggiunto. Così abbiamo perso, forse per sempre, bellezza e naturalità dei paesaggi costieri e continuiamo in parte a vedere le poche riserve costiere solo come un ostacolo alla continua espansione edilizia e agli interessi economici connessi. In Sicilia terribili fatti di cronaca hanno ben mostrato come la forza di questi interessi possa distruggere cose e persone.
Ogni volta che mi avvicino alla costa ho un forte bisogno di trovare un angolo più naturale, sia nella forma delle scogliere rocciose attorniate di vita marina, sia in quella delle spiagge poco frequentate, in prossimità delle cui dune si avventurano i coraggiosi fiori di sale, vento e sabbia. Alle pendici dell’Etna convivono la spiaggia chiara, il bianco scoglio calcareo e il nero basalto delle colate di magma, di fronte a un mare infinito azzurro e blu. Impossibile per me non immaginare all’orizzonte le navi dei coloni micenei e greci che approdarono in queste terre baciate dal sole alla ricerca di fortuna, costruendo bellissime città, templi e necropoli (come quella in foto di Thapsos della media età del bronzo). Al loro posto delfini (o forse sirene?), caro Sciliar, fugaci delfini che in lontananza compivano balzi fuori dall’acqua, prima di scomparire nel nulla.
Eravamo lì a guardare i gabbiani rosei e i piccoli fratini che correvano sulla spiaggia, quando lui è comparso. Nessuna persona lo accompagnava e noi non conoscevamo le sue intenzioni. Si è seduto a una certa distanza, ci ha guardato e annusato, ha atteso. Questo esile ed elegante cane sperava nella nostra attenzione, ma valutava se poteva fidarsi. Ci siamo seduti, guardandolo ogni tanto e parlando tra noi. Sofia era elettrizzata, perché come sai lei ama i cani. Lui ha capito che speravamo in un incontro, è venuto a passo lento a pochi metri da noi e noi ci siamo fatti annusare. Una carezza, due carezze e le barriere di specie si sono frantumate. Non un cane invadente, bensì un cane pacato e gentile, con dei bianchissimi denti che tradivano la sua giovane età. Era magro, muscoloso. Non avevamo proprio nulla da dargli da mangiare e ad ogni modo non sapevamo bene se abituarlo a fidarsi troppo degli estranei sarebbe stato rischioso per lui. Ricordo il forte timore, quasi un’angoscia, con cui da volontaria del centro di recupero della Lipu di Padova, liberavo le volpi curate o allevate da cuccioli, sapendo quale mostro potesse essere per loro l’uomo e che meno contatti avevano con noi rimando diffidenti, maggiori speranze avevano di sfuggire alle insidie. Non sapevamo se il nostro ospite avesse un proprietario, qualcuno che si prendesse cura di lui. È rimasto in nostra compagnia un’oretta, ci ha accompagnato a fotografare fiori e ci è rimasto accanto nelle soste. Mi è capitato più volte di essere preceduta nei sentieri da cani locali in cerca di un po’ di compagnia per le loro esplorazioni e ogni volta è una piacevole sensazione, anche se di breve durata. In questo caso però non eravamo tranquilli e molti dubbi ci passavano nella testa; era giusto lasciare lì quel cane? Avremmo dovuto contattare un’associazione locale? Dubitavamo fortemente che avesse un microchip identificativo e che qualcuno potesse aiutarci in quei giorni di festa.
L’unica attenuazione alla nostra inquietudine era data dalla speranza che un animale così docile e mite avesse una casa dove tornare dopo le sue peregrinazioni, fosse cioè abituato a convivere con le persone e a rispettarne le regole. Il dubbio che fosse invece un cane randagio o che potesse essere scambiato per tale da malintenzionati restava. Il fenomeno del randagismo in Sicilia è purtroppo ancora molto diffuso e problematico. Tra febbraio e marzo di quest’anno i giornali hanno riportato la notizia di cani impiccati e avvelenati, e non si tratta solo di cani randagi. Fatti gravissimi, spaventosi. Le associazioni di tutela animali presenti sull’isola fanno il possibile, sia sul piano delle adozioni, della cura e della sterilizzazione, sia su quello della responsabilizzazione delle persone. La Sicilia è però una terra di forti contrasti e il randagismo è solo uno dei molteplici problemi che l’affliggono. Il presidente della regione, Nello Musumeci, ha previsto il mese scorso lo stanziamento di due milioni di euro per il piano di sterilizzazione di 30.000 cani e gatti randagi; un atto doveroso per contenerne il numero, ridurre le situazioni conflittuali e limitare i danni che questi animali, spinti dalla fame e dalla necessità, possono fare anche ai delicati ambienti naturali residui. Poi però serve cambiare la mentalità, quel maledetto pensiero che porta a tradire un cane abbandonandolo o uccidendolo. Cambiamenti per nulla facili.
Quando stavamo per andare via il nostro compagno è stato attratto da dei bambini che giocavano sulla spiaggia, richiamo evidentemente irresistibile per un animale giovane. Abbiamo fatto a tempo a osservarlo mentre si avvicinava con il suo solito garbo, restando in attesa di un segnale. Non sappiamo se quel segnale sia arrivato, se la sua storia avrà un lieto fine o meglio un lieto divenire. Dall’oblò dell’aereo del ritorno gli estesi abitati e le coste sembravano scorrere veloci davanti al grande vulcano immobile e dormiente. Con l’amaro in bocca del bagaglio rubato, pensavo al cane, ai compagni randagi, agli animali selvatici, ai colorati fiori della Sicilia e a tutte le persone oneste che ci fanno amare quest’isola e desiderare di tornarci presto, nella speranza che nel frattempo qualcosa cambi.
*Scienze Naturali