di Michela Berto*
Negli anni ’90, totalmente inesperta di questo lavoro i vini considerati come migliori, i più discussi e richiesti, erano prodotti con l’affinamento in barrique, un contenitore in legno da 225 litri in cui far maturare il vino prima di essere messo in bottiglia. Questa tecnica cede al vino dei profumi dai sentori spiccati di vaniglia, tostatura, liquirizia, mentre all’assaggio hanno un sapore tra loro omologato, si presentano larghi, “morbidi”, piacioni.
Salvo rare eccezioni, sono prodotti per accontentare il grande pubblico, spesso a discapito della tipicità del vitigno. Tanto era di moda l’affinamento in barrique che ricordo un particolare episodio in un’azienda vinicola in Friuli; lì mi entusiasmò un Refosco del Peduncolo Rosso di annata, dal frutto intenso e pulito, di corpo e con una spiccata bevibilità: un gran bel vino, dal costo ottimale di circa seimila lire. Poco dopo, con un pizzico di fierezza, il produttore mi presentò il suo prodotto di “punta”, un refosco del Peduncolo Rosso con una piccola percentuale di merlot e cabernet sauvignon e otto mesi di affinamento in barrique nuove. Era buono, ma il suo gusto era eguale a tanti altri e costava diciottomila lire, il triplo del precedente: in quell’occasione compresi molte cose.
Tramontata la moda di questa tecnica di cantina che in seguito verrà quasi sempre giudicata troppo invasiva, si è passati all’affinamento in botte di legno da 750 litri o tonneaux da 500 litri. Rispetto alle barriques questi recipienti cedono meno aromi rispettando maggiormente la qualità dell’uva e vengono usate soprattutto nei vini a bacca rossa; successivamente si è iniziato a parlare di aziende certificate biologiche”, mentre da qualche anno è il momento dei vini biodinamici, di quelli macerati sulle bucce, affinati nelle once (recipienti in terracotta) dei non filtrati, dei vini classificati come “naturali” eccetera.
In circa 28 anni ho notato tanti cambiamenti, dovuti alle richieste del mercato più che alla convinzioni del vignaiolo. Un esempio è la scelta nell’impianto dei vitigni, passando a uve internazionali come il merlot, il cabernet sauvignon, lo chardonnay, il sauvignon o ancora il pinot grigio, molto richiesto dal mercato americano. Ora è il momento del prosecco, coltivato praticamente in tutto il nord est dell’Italia.
Noto anche che esiste un fraintendimento o meglio ancora una visione errata del concetto di biodinamica, pratica che viene associata alla macerazione con le bucce, ai vini non filtrati o a quelli senza solforosa aggiunta.
Mi capita di assaggiare dei vini dichiarati “naturali” o biodinamici, con rifermentazioni spontanee in bottiglia molto accentuate, non filtrati, con “puzze” evidenti, con spunti acetici importanti, quasi letteralmente imbevibili. Su questi difetti, a causa della moda imperante, si tende a sorvolare: anzi addirittura a volte
vengono esaltati come indicatore di “naturalità” Prendo esempio quindi dai nostri vicini di casa francesi, i quali conducono aziende biodinamiche da generazioni. Dal Domaine Didier Daguenau, vignaiolo nella regione della Loira a Pouilly-Fumè che coltiva la terra ancora arandola con i cavalli e produce dei vini da uve sauvignon da secoli. Dal colore giallo oro, con profumi erbacei e fruttati, freschi e puliti, alla beva ricorda la pesca con una grande intensità aromatica; dopo anni di affinamento in bottiglia continua a preservare un vigore e una complessità importanti. Ancora,
Pierre Frick è un produttore alzaziano certificato biodinamico dal 1981 e dal 1999 senza aggiunta di solfiti i cui vini sono di estrema pulizia.
Chi non conosce Château Latour Premier Grand Cru Classè? Dal 1855 è a Pauillac in Bordeaux e ha ottenuto la certificazione biodinamica da Ecocert nel 2015. Negli anni ha conservato sempre e gli stessi vitigni rispettando il suo patrimonio colturale e culturale. Lo stesso vale per l’azienda di Clos de l’Oratoire de Papes
in Provenza e per molte altre ancora.
Biodinamica e biodiversità sono concetti molto ampi e faticosi da conseguire, ma soprattutto sono uno stile di vita che parte dai principi steineriani e dal rispetto assoluto per la natura.
Un contadino mi disse: “Ci sono i biodinamici e i biofurbi”. Frase che ci induce a riflettere. Il mio consiglio? Ascoltate tutti, ma alla fine pensate con la vostra testa!
*Sommelier – Ristorante San Martino