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Biennale Architettura: ecco cosa vedere senza pretese da “archistar”

di Maurizio Cerruti*

Se siete architetti di grido o urbanisti di fama internazionale non leggete questo articolo. Non è per le archistar. Ma se siete semplici persone incuriosite dalla Biennale Architettura 2018 – a Venezia dal 26 maggio al 25 novembre – o magari dal suo titolo “Freespace” (spazio libero) tanto pubblicizzato dai media di mezzo mondo, allora può esservi utile questa breve guida all’evento più rilevante a livello internazionale sull’arte del costruire e del pianificare i territori.
Innanzi tutto qualche informazione pratica. La mostra ha due sedi principali, una ai Giardini di Castello e l’altra dentro l’Arsenale. Si entra in entrambe, anche in giorni diversi, con un unico biglietto (intero da 25 euro; per le varie combinazioni fra cui riduzioni, gratuiti, educational ecc. vedi www.labiennale.org). Le due sedi sono vicine, 10 minuti a piedi per le calli del sestiere di Castello o usando il vaporetto-navetta gratuito ogni 20 minuti dalla fermata Giardini all’interno dell’Arsenale.
OCCHIO AL METEO. Tre consigli di base: 1- indossate scarpe sportive e/o comode: i tacchi alti e le tomaie delicate non si addicono al ghiaino e alla polvere; 2- evitate i giorni di meteo sfavorevole se proprio non amate la fanghiglia; 3- scartate anche i giorni estivi da bollino rosso quando l’alta temperatura, l’umidità e l’assenza di brezza fanno di Venezia una palude dantesca. E allora entriamo, cominciando dalla location storica, quella dei Giardini. In fondo al viale d’ingresso c’è il grande padiglione della Biennale: un labirinto di sale dove aggirarsi e perdersi tra plastici, mappe, proiezioni, tabelle e modelli in scala, riconducibili tutti al tema della mostra che ha come curatrici le irlandesi Yvonne Farrell e Sherley McNamara, ovvero come liberare spazi attraverso l’architettura, ma anche come edificare e riedificare salvaguardando un bene sempre più prezioso, lo spazio libero, appunto.
LA VENEZIA IRREALIZZATA. Tra tanto vagabondare a me hanno colpito soprattutto alcune sale dedicate ai grandi progetti irrealizzati a Venezia firmati da grandissimi architetti del secondo Novecento. Uno è l’ospedale civile di Le Corbusier a San Giobbe negli anni Sessanta; un altro è la residenza studentesca (1953) di Frank Lloyd Wright dirimpetto a Ca’ Foscari e con vista sul Canal Grande; il terzo è il Palazzo dei Congressi (1968) di Louis Kahn nell’Arsenale. Tutte opere molto belle in sé ma di grande impatto a Venezia, e tutte bocciate fra roventi polemiche. Un bene o un male? Dipende se siete conservazionisti o modernisti, se preferite il “dov’è e com’è” o il “nuovo che avanza”. Nel padiglione ci sono anche molti progetti di social housing, di riuso di contenitori che sono passati da una funzione all’altra per servire meglio la contemporeaneità: fabbriche e depositi diventati mercati, scuole e musei. O complessi di alloggi popolari.

thumbnail_dfoto progetto biennale
L’ISOLA SOSPESA. Sparsi per i Giardini, in mezzo agli alberi e lungo i vialetti, più o meno appartati e malinconici come cappelle di famiglia, i padiglioni nazionali sono in tutto una trentina. Alcuni sono di per sé piccoli capolavori: “mausolei” del primo Novecento (vedi Russia, Germania, Ungheria) o funzionali edifici di vetro, legno e acciaio come quelli recenti coreano e australiano. Da non perdere la visita a quello britannico, non tanto per il contenuto (è vuoto: un richiamo alla brexit, alla ricostruzione, all’isolamento, al colonialismo, al mutamento climatico o a quello che volete voi: l’interpretazione è libera) quanto per l’immensa piattaforma provvisoria che sovrasta il tetto e che dall’alto, alla fine di un’interminabile scala, regala un panorama assolutamente inedito su uno scorcio di laguna e sulla vegetazione sottostante. Il titolo è “Island”: un’isola sospese dove se capitate a metà pomeriggio, alle 4, molto inglesemente vi offrono il té. Il padiglione tedesco (un scatolone bianco imponente, il più alto di tutti, che Mussolini donò all’alleato Hitler) quest’anno ricorda in anticipo il trentennale della fine della divisione di Berlino (1989) con una riflessione sugli altri Muri: Cipro, Israele-Palestina, Usa-Messico, Nord-Sud Corea, Ulster. Lì vicino c’è l’Australia che sotto il titolo “Grasslands” – terre d’erba – si dedica all’architettura “che ripara”: i luoghi, il suolo, l’habitat, la rete idrogeologica, la vegetazione e i micro organismi. Ci si può sedere in mezzo a una sessantina di specie erbacee che sono in pericolo di estinzione nelle pianure occidentali del Victoria.
L’INNOMINATO TRUMP. Il padiglione statunitense, nell’inconfondibile edificio neoclassico con cupola e colonne – omaggio alle sedi istituzionali di Washington DC – ospita i lavori di un pool di architetti decisamente ostili a Donald Trump (ovviamente mai nominato). Il tema dell’appartenenza è declinato in sette capitoli: cittadino, civitas, regione, nazione, globo, network (rete) e cosmo. Sullo sfondo c’è la riflessione sugli ideali democratici di inclusione e un attacco alle barriere di confine contro gli immigrati dal Messico. A poche decine di metri c’è il padiglione di Israele (attenti alle vetrate all’ingresso! Facile sbatterci il naso) che ha due cose interessanti: 1- un antico modello di legno del quartiere cristiano di Gerusalemme, con le suddivisioni degli spazi tra le varie confessioni religiose che risalgono alla dominazione ottomana. Da secoli, malgrado il ferreo calendario che regola le varie processioni e celebrazioni di ortodossi, copti, cattolici romani eccetera, le liti (e le risse) non sono mai cessate. 2- i plastici dei progetti israeliani di riedificazione al posto del quartiere medievale palestinese abbattuto con le ruspe dopo la guerra del 1967 per “dare respiro” al Muro del Pianto. Si va dal minimalismo del lasciare quasi tutto così com’è, alla faraonica ricostruzione su pilastri del gigantesco tempio di re Salomone abbattuto dai Romani che si trovava nella soprastante Spianata delle moschee.

thumbnail_foto pad italiaPadiglione Italia
RESISTERE AL TURISMO. Nel padiglione ceco ribattezzato Unes/Co – ironico richiamo all’ente Onu per la cultura – il tema è quello della morsa del turismo di massa che soffoca in un abbraccio mortale le città d’arte come Venezia. Si illustra un ipotetico esperimento di “ripopolamento” di Cesky Krumlov, bellissima cittadina con castello medievale sulla Moldova; in sostanza si tratta dell’offerta di soggiorni estivi prolungati (1-3 mesi) a famiglie con bambini che si prestino a ridare una parvenza di tessuto sociale e di vita di comunità ad una località dove gli abitanti si sentono schiacciati dal vai e vieni di orde di turisti. Curioso anche il padiglione svizzero dedicato alla “visita alla casa”: un rito sociale irrinunciabile, fra amici e parenti, che resiste tenacemente ai mutamenti di costume. La “casa” che il visitatore visita è un labirinto di stanze bianche e vuote, sopradimensionate o sottodimensionate – in uno strano gioco di prospettive – dove ci si sente minuscoli come bambini oppure giganti. Merita una breve tappa anche la Corea del Sud che a partire dalla sua prima Fiera del commercio nel 1968 – segnale di un boom economico strepitoso – ripensa al proprio passato in senso critico ponendosi il tema della complessa relazione fra Stato e Avanguardia, tra potere politico e utopia, fra trionfalismo propagandistico e realtà.
TRENO PER LA SIBERIA. Ultima tappa irrinunciabile, nella visita ai Giardini, il padiglione Russia dedicato alle ferrovie e alle stazioni ieri e oggi, tessuto connettivo cruciale del più vasto Paese del mondo che ogni anno conta oltre un miliardo di viaggiatori sui treni. In un filmato di 7 minuti è condensato un percorso di 9mila chilometri e di quasi sette giorni, da Mosca a Vladivostok nell’estremo oriente siberiano. Non sarà certo come esserci stati, ma dopo averlo visto vi sarete risparmiati interminabili attese nelle stazioni e giorni e giorni di tundra sconfinata.
GODETEVI LA GRU. Spostiamoci ora all’Arsenale dove lo spettacolo più impressionante sono le architetture di mattoni e pietra d’Istria e i bacini dove per mille anni, dalla Repubblica di Venezia fino alla Repubblica italiana, si sono costruite e custodite navi militari. Potrete passeggiare sotto le cinquecentesche “gaggiandre” – serie di darsene coperte, sostenute da enormi colonne, erette per le antiche galee. Se il sole non è troppo a picco (ma ci sono ombrelloni) prendendo un caffè godetevi la prospettiva del bacino grande e dell’enorme gru a vapore ottocentesca (pezzo ormai unico al mondo) oggi tutta arrugginita, che riusciva a sollevare i sommergibili.
ARCHITETTURA INVISIBILE. All’ingresso della mostra, nelle Corderie – un suggestivo padiglione lungo oltre 300 metri dove anticamente si fabbricavano cavi, gomene e sartiame per le navi – il tema “Freespace” è declinato in tanti modi e suggestioni diverse. Impossibile elencare tutto. Va però ricordata l’installazione che spiega il senso di “Freespace” mostrando la piazza centrale di Murcia in Spagna dove epoche e stili diversi, fino ad oggi, convivono in ottima simbiosi: “liberare lo spazio” non è lasciare il vuoto, ma costruire in modo che l’architettura diventi invisibile. La migliore architettura è quella che fa “stare bene” la gente. L’architettura freespace non mette in mostra se stessa ma si mette al servizio delle persone e delle comunità: è non-trionfale, non-celebrativa, non-narcisistica.

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STIVALE DA RIPARARE. Fra il moltissimo che c’è da vedere e da scoprire “scarpinando” per l’Arsenale (ma esiste un servizio shuttle gratuito con veicoli elettrici, comodo per il ritorno) sono irrinunciabili due padiglioni in fondo al percorso espositivo. Uno è il Padiglione Italia dedicato a progetti di tutela ambientale, di preservazione storico-culturale e di ricostruzione – ad esempio dopo i terremoti – in particolare di piccoli centri urbani, in un percorso che suddivide lo Stivale in aree e la percorre dalle Alpi al Mediterraneo lungo gli Appennini. Pure interessante è il Padiglione Cina dove il lavoro dei curatori si concentra sull’architettura che valorizza e rielabora in chiave di attualità il ricchissimo patrimonio cinese dell’edilizia rurale che è anche di comunità e dunque sociale. Notevoli le antiche cisterne di ferro, relitti di archeologia industriale dei tempi in cui l’Arsenale era un insieme di officine navali.
CACCIA AI COLLATERALI. Fuori delle due sedi principali (Giardini e Arsenale) sparse per Venezia – in palazzi nobiliari, musei, gallerie d’arte, magazzini, ex fabbriche in disuso – c’è una miriade di altre “location” sia per le rappresentanze nazionali, sia per gli “eventi collaterali” della Biennale Architettura, quasi tutti ad ingresso gratuito (salvo i musei). Per scovarli uno a uno ci vuole la pazienza e l’entusiasmo di un cacciatore al tesoro, nei dedali veneziani. Si consiglia di dotarsi delle cartine distribuite un po’ dovunque, in abbinata con le mappe on-line, oppure cercando i tabelloni esposti all’esterno delle sedi espositive, anche in Canal Grande. La novità principale di quest’anno è l’esordio della Città del Vaticano con un allestimento nei giardini dell’isola di San Giorgio al di là del Bacino di San Marco. Si tratta di 10 cappelle di legno che richiamano lo stile minimalista dell’architettura svedese (ma anche quella tradizionale alpina) realizzate da altrettanti celebri architetti. Eleganti ma sobrie, dunque in sintonia – ma poteva essere altrimenti? – con Papa Francesco.


thumbnail_M Cerruti (3)*Giornalista

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