di Carlotta Fassina*
Avevano portato con sé <<diversi animali, come rane, uccelli e insetti>>. Il loro era un viaggio, anzi un’ascensione, che sarebbe passato alla storia come la prima esplorazione scientifica dell’atmosfera terrestre. Erano i celebri scienziati Louis Gay-Lussac, all’epoca ventiseienne, e Jean-Baptiste Biot, appena trentenne.
La data quella del 24 agosto del 1804, quella che i due fisici e chimici francesi scelsero per analizzare le variazioni dell’atmosfera terrestre a bordo di un aerostato, una mongolfiera. Non sapevano a cosa sarebbero andati incontro salendo di quota e cosa sarebbe successo agli animali che portavano con sé; non avevano minimamente l’idea che alcuni animali potessero avere in dotazione incredibili adattamenti all’altezza e strumenti interni di controllo di quegli stessi parametri di pressione, magnetismo ed elettricità, che loro andavano monitorando in quell’avventurosa esplorazione con gli strumenti più moderni per l’epoca.
<< Confesso volentieri>>, scrive Biot nel suo resoconto, << che il primo momento in cui abbiamo iniziato a prendere quota (…) non potevamo far altro che ammirare la bellezza dello spettacolo circostante>>. Erano infatti partiti da Arcueil, vicino a Parigi, al tempo sicuramente molto più verde di oggi, << calmi e senza la minima inquietudine>>.
Salendo, attraversarono la coltre di nuvole: <<la loro superficie superiore, ondeggiante e tutta coperta di protuberanze stondate, aveva l’aspetto di una pianura coperta di neve.>>
<< Il nostro scopo principale era quello di verificare se la proprietà magnetica subisce una diminuzione consistente quando ci si allontana dalla Terra>> e <<di osservare la differenza di elettricità tra i vari strati atmosferici>>. Per la prima analisi gli studiosi avevano un ago calamitato appeso a un filo di seta sottile, che fatto oscillare in una direzione un po’ diversa rispetto a quella del meridiano magnetico, avrebbe dovuto aumentare la sua oscillazione in risposta a un campo magnetico maggiore. Non fu così semplice, in realtà, raccogliere i dati magnetici perché la mongolfiera si ostinava a compiere delle lente rotazioni su se stessa, le quali variavano anche l’orientamento del sensore. Per il secondo esperimento, invece, avevano calato dalla navicella dei fili metallici di differente lunghezza e terminanti con una bacchetta di vetro; avrebbero messo in comunicazione strati atmosferici differenti permettendo quindi il trasferimento di elettricità tra di essi, misurandola con un elettroforo.
Durante il viaggio furono registrate anche le variazioni di temperatura e persino del loro battito cardiaco.
Salendo di quota Biot e Gay-Lussac, divenuto poi indispensabile alla scienza per le sue leggi sui gas, osservarono i loro animali che <<non sembrava soffrissero per la rarefazione dell’aria>>. L’ape viola, Apis violacea, liberata a 2724 metri << volò via rapidissima e se ne andò ronzando>>.
<<A 3.400 metri di quota liberammo un uccellino chiamato verdone; volò subito via (…) si precipitò verso la terra, descrivendo una linea tortuosa>> fino a sparire tra le nuvole. Il piccione invece <<rimesso in libertà sull’orlo della navicella, vi rimase per qualche istante come per misurare lo spazio da percorrere, poi si lanciò volteggiando in modo disuguale, come se stesse provando le ali; ma, dopo qualche battito, si limitò a estenderle e, lasciandosi andare completamente, cominciò a scendere verso le nuvole descrivendo ampi cerchi come fanno i rapaci>>.
Che cosa stava facendo quel piccione? Probabilmente si stava proprio orientando, utilizzando i sui sensori del campo magnetico e di pressione atmosferica.
Il campo magnetico terrestre e gli uccelli
Il campo magnetico che circonda la Terra è generato da un dipolo magnetico, associato a correnti elettriche presenti all’interno del nucleo liquido. Per approssimazione si fanno coincidere i poli magnetici con quelli geografici (l’angolo è in realtà di 11°) e si assume che le linee di forza del campo entrino nella Terra in corrispondenza del nord terrestre ed escano al sud (il campo magnetico è invertito rispetto ai Poli geografici). Biot e Lussac, a differenza di altri studiosi, immaginavano che il campo magnetico non subisse grandi riduzioni con l’altezza e lo verificarono spingendosi fino a 3400 metri di quota. Quello che non potevano sapere con le tecnologie del tempo era che l’azione del campo perdura per decine di migliaia di chilometri dalla Terra, smorzandosi progressivamente e cambiando forma per effetto dell’interazione con il Sole.
Da molto tempo si sa ormai che molti uccelli, specie durante i voli migratori compiuti anche di notte, non sfruttano solo la luce solare per l’orientamento, bensì anche il campo magnetico terrestre. Studi recenti dimostrerebbero che per percepirlo utilizzano una proteina situata nella retina degli occhi. La proteina, chiamata Cry4, appartiene al gruppo delle proteine dette criptocromi, che sono fotorecettori sensibili alla luce blu. Questa proteina è anche coinvolta nella regolazione dei ritmi circadiani, ovvero nell’oscillazione di funzioni biochimiche, fisiologiche e comportamentali in risposta alla variazione dell’illuminazione solare nell’arco delle 24 ore giornaliere. Alcuni elettroni di Cry4 interagirebbero con il campo magnetico terrestre, formando dei radicali instabili capaci di funzionare da GPS per i migratori orientandosi con il campo magnetico.
Altri studi condotti sui pettirossi, che fanno migrazioni parziali e che svernano nelle nostre città, dimostrano come la sensibilità al campo magnetico possa essere perturbata dal “rumore magnetico”, vale a dire dalle interferenze prodotte dall’attività antropica, soprattutto dalle emissioni radio AM, dagli apparecchi elettronici e in minor misura dalle linee d’alta tensione e da quelle della telefonia mobile. L’intensità del “rumore” è debole, 50 volte inferiore a quella del campo magnetico terrestre dell’ordine dei 49 microtesla, eppure sarebbe sufficiente a disorientare i pettirossi in città. Non si sa ancora per quale motivo ciò avvenga, è molto probabile però che, una volta abbandonate le città, i pettirossi e gli altri migratori cittadini riescano a recuperare il loro orientamento.
La pressione atmosferica e il barometro degli uccelli
Se Gay-Lussac fosse stato in grado di comprendere il meccanismo di registrazione barometrica degli uccelli, forse sarebbe diventato anche un appassionato ornitologo e avrebbe tratto vantaggio da questa conoscenza.
Gli amanti del birdwatching verificano spesso comportamenti anomali dei loro beniamini in occasione dell’avvicinarsi di perturbazioni atmosferiche. È un fatto, per esempio, che i rondoni adulti che nidificano nelle nostre città, scompaiano all’arrivo di grossi fronti temporaleschi. Il fenomeno è accompagnato dall’allontanamento, anche di qualche centinaio di chilometri, dei genitori dai loro piccoli al nido i quali, in conseguenza della non alimentazione e dell’abbassamento di temperature, vanno in una sorta di torpore per ridurre il consumo energetico in attesa del ritorno dello stormo.
Così, diversi ornitologi americani hanno osservato l’avifauna cittadina in occasione dell’arrivo di alcuni uragani, come l’Hurricane Harvey dell’agosto del 2017, il Sandy del 2012, l’Irma del settembre 2007 ecc. Hanno potuto constatare un’irrequietezza maggiore già 2-3 giorni prima dell’arrivo dell’uragano e che, per esempio, gli uccellini delle mangiatoie del giardino di Washington si “abbuffavano” molto di più del solito per prepararsi a un evento che il loro cervello evidentemente aveva identificato come capace di impedire l’alimentazione e di far patire il freddo.
Che cosa regola la sensibilità alla pressione atmosferica negli uccelli? L’organo paratimpanico (OPT), scoperto nel 1911 dall’anatomista italiano Giovanni Vitali. Si tratta di un organo sensoriale situato entro la parete media della cavità timpanica degli uccelli, degli alligatori, di alcuni pipistrelli. L’OPT possiede una parete interna rivestita di cellule ciliate sensibili agli stimoli meccanici, in contatto con una sostanza gelatinosa. Questo organo è collegato con dei legamenti elastici alla membrana timpanica e alla columella e quindi modifica il suo fluido interno per effetto delle variazioni di pressione in arrivo al timpano. Le cellule ciliate comunicano poi al sistema nervoso la variazione di pressione prodotta dalla depressione atmosferica causata da un temporale o una variazione di quota. Un perfetto barometro quindi, utile ma non ugualmente presente: è infatti ipertrofico nei falchi e nei rondoni, animali che fanno del volo la loro magnificenza, sviluppato negli uccelli che fanno immersioni come i pinguini, pare invece scomparso nelle civette e nei parrocchetti.
Gli strabilianti record d’altezza
Il verdone di Gay-Lussac e Biot non era certo amante dell’alta quota, sicuramente se la cavava meglio il piccione che si mise a volteggiare come avrebbe fatto un rapace, scendendo verso quote più familiari.
Normalmente gli uccelli migratori volano a quote di alcune centinaia di metri che consentono di trovare un beneficio dal raffreddamento dell’aria su muscoli sottoposti a forte riscaldamento.
Gli uccelli che volano a quote superiori lo riescono a fare grazie al fatto di possedere emoglobine adattate a trasportare meglio l’ossigeno in condizioni di aria rarefatta e di sforzo di volo. In migrazione, il record d’altezza spetta all’oca indiana (Anser indicus), che sorvola la catena dell’Himalaya, anche senza sosta e in poche ore, a una quota superiore ai 6000 metri. Quest’oca non usa le correnti ascensionali per guadagnare quota e faticare meno, bensì procede a volo battuto grazie ai suoi muscoli molto vascolarizzati e dotati di un alto numero di mitocondri, le strutture deputate a produrre energia per le cellule.
Gli avvoltoi di Rueppell (Gyps rueppellii) però raggiungono altezze ancora maggiori, con un dato accertato di 11.300 metri: lo sappiamo con certezza perché un esemplare si schiantò contro un aereo a quell’altezza in Costa D’Avorio. Chissà, viene da chiedersi, cosa avrà pensato il pilota.
Un caso italiano: l’aquila Gaia
Gaia è il nome dato a una giovane aquila reale nata a Frasassi nel 2017. Quest’aquila è stata soccorsa nell’agosto del 2017 a causa dell’ignobile fucilata di un bracconiere. Curata presso il centro di recupero del WWF Gola della Rossa e di Frasassi, è stata liberata a settembre dello scorso anno, dopo essere stata dotata di una radio satellitare GPS. È la prima aquila italiana a spasso con il GPS tra i monti del centro Italia. La cosa affascinante, scoperta grazie a questa strumentazione, è che la nostra aquila non solo non disdegna di volare anche di notte, ma che in una delle sue elevazioni ha raggiunto la quota di 7450 metri sul livello del mare!
L’elettricità, i ragni e il ballooning
Chissà se a bordo dell’aerostato i nostri bravi scienziati furono raggiunti da un ragno in ballooning, così come accadde a Charles Darwin nel Beagle. D’accordo, direte, Darwin era tutto concentrato su indagini nel campo degli animali e la scoperta che alcuni ragni volassero per centinaia di chilometri nell’aria prima di atterrare era più facile a lui rispetto ai due fisici impegnati in analisi atmosferiche.
Il ballooning è la pratica di volo usata da alcuni piccoli ragni per migrare su distanze altrimenti irraggiungibili come se fossero dei palloncini trasportati dal vento. Questi curiosi viaggiatori producono dei filamenti di seta e, dopo essersi posizionati in una postazione elevata, si lasciano andare nell’aria. Fino a poco tempo fa si pensava che fosse solo il vento a condurre il loro moto, ma due entomologi inglesi, Erica L.Morley e Daniel Robert, hanno appena dimostrato che il decollo può avvenire anche in assenza di vento, grazie ai campi elettrici presenti tra la Terra e la ionosfera (la zona dell’atmosfera compresa tra i 90 e i 200 km di quota). Il gradiente di potenziale atmosferico (APG), che è dato dalle differenze di elettricità in atmosfera e che si intensifica nei giorni tempestosi, verrebbe in tal caso percepito e sfruttato dai ragni “volanti” per portarsi fino ai 4000 metri d’altezza. Anche se il meccanismo non è chiaro, non c’è più da sorprendersi che la natura metta in campo adattamenti straordinari.
Il disegno è di Carlotta Fassina
*Scienze Naturali