di Pietro Ruo*
Non era mai accaduto nella storia del golf che un italiano vincesse un major, cioè
una delle quattro gare più importanti e riservate ai migliori giocatori del mondo. Ci è
riuscito il torinese Francesco Molinari, 35 anni, laureato in economia aziendale, in
quella che è considerata la gara più importante in assoluto, e che non a caso i
britannici definiscono l’Open per eccellenza.
Il grande successo è avvenuto in una domenica di luglio, il 22 per l’esattezza, che gli appassionati non dimenticheranno mai. Il golf non è uno sport popolarissimo in Italia, a differenza di altri paesi, come la Scozia, ad esempio, dove in quasi tutti i villaggi esiste una campo da golf frequentato praticamente da persone di ogni età e condizione sociale, ma la sua impresa ha ottenuto spazio in tutti i media, anche in quelli che di solito ignorano vicende e risultati di questa disciplina.
Francesco Molinari il suo Open l’ha vinto nel difficilissimo campo di Carnoustie, nei
pressi di Dundee, proprio in Scozia, patria del golf. Una affermazione netta su mostri
sacri come Tiger Woods, Jordan Spieth, vincitore lo scorso anno, o Justine Rose,
detentore della medaglia olimpica. Il successo di Molinari non è arrivato per caso ma
è il frutto di un grande talento ma anche di un durissimo lavoro andato avanti negli
anni in cui i successi non sono mancati, alternati però a cocenti delusioni. Sembrava
addirittura che le sue capacità non dovessero esplodere e trovare il giusto
riconoscimento. Ma ha avuto coraggio. Si è trasferito prima a Londra e poi negli Stati
Uniti e quando si è reso conto che i risultati non arrivavano ha cambiato lo staff
tecnico, sempre alla ricerca di grandi maestri che gli consentissero di compiere il
salto di qualità. Non a caso uno dei soprannomi che gli avevano affibbiato gli
americani era “the thank”, il carro armato, per la sua determinazione dentro e fuori
dal campo.
Ora potrà godersi questo enorme successo, che tra l’altro gli ha fruttato quasi un
milione e settecentomila dollari, senza tenere conto dei bonus previsti dagli
sponsor, a cui soltanto un altro italiano, Costantino Rocca, si era avvicinato nel 1995,
sempre in un Open, giocato in quella occasione a St. Andrews, uscendone tuttavia
sconfitto nei play off di spareggio dall’americano John Daly. Due storie diverse,
naturalmente, perché mentre Costantino Rocca aveva umili origini e prima di
diventare un campione aveva lavorato come operaio alla Moto Guzzi, Molinari è il
rampollo di una famiglia della buona borghesia torinese che l’ha avviato al golf
quando aveva ancora 8 anni.
Ora, a livello della Federazione italiana qualcuno spera che il successo di Molinari
contribuisca a far crescere il numero degli appassionati, per il momento ancora
troppi pochi rispetto agli altri principali paesi europei. Ma, forse, per il salto di
qualità servono anche politiche diverse e maggiori investimenti nelle scuole. Perché
se è vero, come ha attestato una indagine condotta in Svezia, che giocare a golf
allunga la vita di 7 anni, un futuro più roseo non può venire che dalle nuove leve.
Foto tratta dal sito della Federazione italiana golf
*Giornalista