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Mostra del Cinema: “I Villeggianti”, un gioco tra realtà e finzione

di Maurizio Cerruti*

VENEZIA – “A Valè, ma ce sei o ce fai?” E’ domanda che viene spontanea guardando il film di Valeria Bruni Tedeschi (regista e protagonista) “Les Estivants” – i villeggianti – presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. Peccato che lei, che è poi la sorella di Carla Bruni, le domande le eviti come la peste tant’è vero che le è stata confezionata una conferenza stampa di mezz’ora occupata completamente dai convenevoli del cast, con un solo giornalista – amico? – autorizzato a porre una singola questione. “Basta, il tempo purtroppo è scaduto”…

FANTASMI IN VILLA. Il film è una commedia familiare ambientata in una villa splendida, un po’ decadente, con grande parco che dà direttamente sugli scogli e sul mare favoloso della Costa Azzurra. Una commedia alto-borghese di oggi, senza vera trama, tutta costruita sulle relazioni affettive – la protagonista lasciata dal compagno, il fratello morto (di Aids, nella realtà) che appare e scompare come un fantasma – così come sulle parentele, i drammi, gli umori, gli sfoghi, le rabbie esplosive o represse, gli scontri caratteriali dei proprietari e di alcuni loro amici ospiti, nonché del folto e stravagante personale di servizio che lavora per loro. Storia vera? Storia inventata? Ancora una volta la regista Bruni Tedeschi gioca sull’equivoco e dice che il proprio film è una “autobiografia immaginaria”.

SERVI E PADRONI. Ma nel gioco di specchi tra realtà e finzione è facile confondere lo spettatore, che viene lasciato a cuocere nel dubbio, quindi in un certo senso ingannato. Per dirla chiara, preso in giro elegantemente, come i domestici degli “Estivants” che chiedono di negoziare sugli straordinari e i festivi, ma invece che un sì o un no, incassano un rinvio dietro l’altro. Con scuse vagamente altezzose come: “Ma se abbiamo appena disperso le ceneri della mia cara amica…” Che sconveniente parlare di soldi ora. Forse domani… forse. Sicuramernte verissimi nel film come nella realtà, sono: la madre della regista Marisa Borini – pianista, vedova dell’erede dellle fortune dei Bruni Tedeschi (Ceat pneumatici, Torino) – che fa la parte della padrona di casa e di se stessa; e sua sorella, (anzianissima zia della regista) che non ricordava il copione – è stato spiegato – ma ha recitato benissimo dicendo quello che le passava per la testa. Infatti interpretava se stessa. Più autentica di così.

CARLA NON C’E’. Fra gli interpreti principali c’è Valeria Golino, personaggio umorale e forse bipolare, che dovrebbe essere Carla Bruni ma che non le somiglia affatto; per giunta come marito ha un industriale fallito, simpatico e scherzoso con gli amici quanto arrogante e duro con i sottoposti: un tipo che ha pur rovinato migliaia di persone. Ci vuole proprio un bello sforzo per identificarlo con l’ex presidente Nicolas Sarkozy. Ma allora questo cos’è? Uno sberleffo in famiglia? Una licenza poetica? Ecco che ricadiamo nella domanda iniziale: Les Estivants “ce sono o ce fanno”? Mah. Riccardo Scamarcio fa il compagno che ha lasciato la protagonista all’inizio del film ma non si decide a staccarsi completamente da lei (e viceversa): personaggio centrale che appare e scompare nella non-trama e che richiama le sfortunate esperienze sentimentali della regista. E c’è Noemie Lvosky, grande amica della regista (e regista a sua volta) che nel gioco di specchi interpreta in effetti se stessa, intrecciando un’improbabile fugace storia d’amore col cuoco della villa.

“ERAVAMO COSI’. In questo guazzabuglio di vero e finto, di ricordi e fantasie, Marisa Borini Bruni Tedeschi che si scruta attorno con occhi sottili da gatta mentre parla, è l’unica che riporta tutto alla realtà dando qualche elemento di interpretazione: “Non potevamo girare nella nostra villa (di Cap Negre), ma quella del film le somiglia molto. Noi e gli amici che erano sempre da noi eravamo proprio così. Stavamo in giardino e quello che si diceva e che si faceva era così”. Viene da chiederle se con i servitori della villa avevano davvero quel rapporto vagamente feudale, di intimità e distacco, affettuoso e padronale, condiscendente e altero che emerge dal film. Peccato che la domanda arrivi fuori del tempo concesso. La risposta rimane sospesa nella nebbia che avvolge la protagonista e tutti i personaggi alla fine del film, dissolvendoli. Sembrerebbe un omaggio ad Amarcord – il capolavoro di Federico Fellini anch’ess girato sul filo dei ricordi d’infanzia – ma non si può fare a meno di vederla anche come un’abile trovata per chiudere una storia priva di storia, cancellando la linea imbarazzante che separa la vita vissuta da quella solo immaginata.


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