di Salvo Ingargiola*
Il mattino dopo ci aspetta una dura salita. Il cammino entra nel vivo e, gradualmente, si riempie di silenzio. Quando lasciamo alle spalle Santa Catalina, il paesaggio intorno a noi inizia a farsi più austero. E’ una giornata soleggiata, molto calda. La salita più impegnativa è quella che ci porta a Rabanal del Camino, un piccolo borgo che intreccia arte, fede e storia.
Prima di arrivarci, attraversiamo un bosco di roveri che ci rigenera dal sole cocente di una mattinata in pieno agosto. In questo angolo che fu presidio dei Templari, nel XII secolo, (a loro toccava proteggere i Pellegrini) si conservano ancora perfettamente le costruzioni in pietra. Qui abitano poco meno di 100 abitanti e ad animare il borgo sono soprattutto i peregrinos che, ogni giorno, giungono da ogni parte del mondo. Nel piccolo monastero di san Salvador i monaci benedettini pregano vespri e lodi in gregoriano. Regna il silenzio.
Accanto al monastero, oggi, sorge un ostello totalmente immerso nel verde. Sono quasi le cinque del pomeriggio. In un pomeriggio agostano, in questo borgo dimenticato da Dio, una donna di origini britanniche, viso rugoso e capelli grigi, ci invita a fare una sosta in ostello: “Stiamo allestendo il nostro Tea Time”, esordisce, “insieme agli altri peregrinos che oggi si sono fermati qui. Vuoi venire?”. Accettiamo la richiesta, la seguiamo e improvvisamente ci ritroviamo in un immenso giardino. In un angolo, due ragazzi stanno lavando a mano i propri vestiti; in un altro angolo un ragazzo, Christopher, di Londra, sta facendo yoga. E’ fermo, immobile. Al centro del giardino, sotto un gazebo, la donna dai capelli grigi (volontaria, trasferitasi qui da Newcastle per alcuni mesi) sta offrendo the caldo e biscotti a tutti gli invitati. E’ il segno dell’accoglienza nei confronti dei giovani, uomini e donne che marciano verso Santiago. E’ tempo di ripartire. Ci attende una breve salita verso una delle destinazioni più selvagge del Cammino di Santiago: Foncebadon, dove incontriamo Agostino, 47 anni, di Napoli. Sta sorseggiando una birra fresca e ci invita a sederci. Senza neppure liberarmi le spalle dallo zaino, mi siedo davanti a lui. “Sono qui per una vocazione. Ho trascorso una vita da dissoluto quando ero sposato”, racconta. Mi parla dei suoi sensi di colpa, di una gabbia da cui sta cercando di liberarsi. “Le parole del Vangelo mi hanno illuminato”, spiega. “Stare con chi vive nel bisogno mi riempie la vita. Non voglio nient’altro”. La sua storia si mescola a quelle di altre. Nel cammino, dietro ogni volto c’è una storia diversa.
Come quella di Stefano, 23 anni, che arriva da Brescia insieme ai suoi amici ed è qui “perché sogna ad occhi aperti un mondo più giusto”. Ha gli occhi da sognatore, Stefano. “Mi piace scoprire col tempo una persona”, scandisce. A differenza dei suoi coetanei, a lui non piace correre e, forse, il Cammino gli serve proprio a mettersi in sintonia con il suo ritmo. Anche questa è Santiago!
Scende la sera: si spengono le luci di Foncebadon. E il Cammino sembra trasformarsi in un diario di pensieri positivi. Qui, in questo villaggio di case rurali, quando arriva il crepuscolo, l’aria frizzante inizia a farsi sentire. E’ necessario coprirsi. Siamo a un’altura di quasi 1300 metri sopra il livello del mare. Trascorriamo la notte in un albergo in muratura dove i ragazzi che lo gestiscono organizzano una cena comunitaria. La notte avanza: qui non c’è spazio per il rumore. Il cielo sopra di noi assomiglia a un’immensa coperta di stelle luminose. La bellezza sovrasta tutto e riempie.
3 – continua
* Giornalista – Viaggiatore