di Maurizio Cerruti
VENEZIA. Un centinaio di figurine misteriose, simboliche, stilizzate, modellate o incise in materiali diversi per tipo e provenienza come marmo, terracotta, osso, avorio, legno, ossidiana, lapislazzulo, clorite, ardesia, basalto. Immagini di dee e dei, di re, di principesse, di mostri, di sacerdoti, di suonatori d’arpa, prodotte per riti propiziatori magico-religiosi legati all’aldilà e alla fertilità, dei quali ormai si è perso il significato.
Questi piccoli capolavori fatti nell’arco di circa due millenni – dal quattromila al duemila avanti Cristo – nell’ambito di remote civiltà fiorite fra la costa dell’Atlantico e la valle del fiume Indo, sono l’oggetto della mostra “Idoli, il potere dell’immagine” realizzata dalla “Fondazione Ligabue” (dal 15 settembre 2018 al 20 gennaio 2019). Una mostra elegante, per “palati fini” culturalmente parlando, ospitata in uno dei luoghi di cultura più suggestivi e meno frequentati dal turismo di massa a Venezia: Palazzo Loredan sede dell’Istituto veneto di Scienze lettere ed arti, l’edificio di pietra bianca sul lato est del centralissimo Campo Santo Stefano.

RIVOLUZIONE NEOLITICA. Le teche illuminate contenenti le piccole sculture divise per aree geografiche, riempiono il centro delle sale tappezzate di scaffali stipati di libri antichi rilegati di stoffe e cuoi consunti. Tablet a disposizione del pubblico consentono veloci zoom e approfondimenti sulle opere esposte. Mentre ci si addentra sui pavimenti scricchiolanti di vecchi legni, il percorso della mostra curata da Annie Caubet, celebre orientalista e archeologa già direttrice del Dipartimento Antichità Orientali del Louvre, conduce il visitatore dalla Penisola iberica alle Cicladi, da Cipro all’Egitto, dalla Mesopotamia all’Arabia, dall’Iran all’Afghanistan, dimostrando che c’è un filo conduttore fra civiltà così diverse e distanti geograficamente. In questo sta l’originalità della mostra che per la prima volta in assoluto ha messo insieme così tanti reperti omogenei e comunque complementari, provenienti in parte dalla Fondazione Ligabue – una quindicina circa – e per il resto da importanti musei europei e da collezioni private. Proprio per quantità e qualità di prestiti – Svizzera, Belgio, Germania, Francia, Cipro, Inghilterra, Italia – l’esibizione veneziana è “unica e irripetibile”: così l’ha definita Inti Ligabue, presidente della Fondazione intitolata alla memoria del padre Giancarlo, imprenditore e paleo antropologo di fama internazionale scomparso nel 2015. La mostra ha come focus il periodo dal neolitico all’età del bronzo, un arco temporale di duemila anni segnato da profonde trasformazioni sociali, con la nascita di città e di vasti regni, le prime forme di scrittura, la lavorazione dei metalli, gli scambi e i contatti tra civiltà lontane tra loro nel Sud Europa, in Asia e Africa.
UOMINI SERPENTI. La quindicina di “Veneri di Battriana” esposte, tra cui alcune in forma di divinità-uccello – mute testimoni di una civiltà poco conosciuta, fiorita tre millenni fa dove oggi c’è il Turkestan afghano – consentono un confronto senza precedenti di stili e di lavorazioni. Tra loro non poteva certo mancare la “Venere Ligabue” che Giancarlo comprò nei primi anni Settanta e oggi è fiore all’occhiello della Fondazione. Accanto ci sono alcuni rarissimi “uomini-drago dell’Oxus”, tozze figure maschili – dèi o demoni – coperti di squame di serpenti, col volto ferocemente sfregiato da una profonda cicatrice: insondabili protagonisti di un mito ormai dimenticato, perduto. Di difficile interpretazione è anche l’uomo taurino in alabastro (corpo umano, testa di toro) scolpito in Mesopotamia quattro millenni e mezzo fa, che non può non ricordare il Minotauro cretese anche se non esistono collegamenti documentati. Lo stesso può dirsi della statuetta di uomo stretto nelle spire di serpenti (Iran meridionale, risalente a 5 mila anni fa) che potrebbe richiamare – chissà – la figura omerica di Laocoonte.
DEE MADRI. Molto significative nel percorso della mostra sono le raffigurazioni simboliche, per riti legati alla fertilità e ai raccolti, di dee madri dai seni, fianchi e glutei enormi, sovrabbondanti: sono tra i reperti più antichi e provengono dalla Spagna, dalla Sardegna, dalle Cicladi, dalla Mesopotamia, dall’Anatolia e dall’Egitto. Le somiglianze stilistiche e l’utilizzo dei materiali più diversi (come l’avorio africano o le pietre dure afghane) sono la prova degli intensi scambi fra zone lontanissime tra loro. Mentre fiorivano un po’ dovunque tra l’Atlantico e l’Asia centrale, le prime civiltà urbane, mentre l’agricoltura stanziale si affermava, mentre le tribù e i clan venivano sostituiti nell’esercizio del potere dalle primordiali forme di Stato, nel bacino mediterraneo e nelle sconfinate regioni orientali esistevano importanti vie di comunicazione e di interscambio non solo di merci, ma anche di idee, culture, esperienze, tecnologie innovative.
IDOLI CON OCCHI. Particolarmente affascinanti sono gli idoli astratti e geometrici (nasi triangolari, seni a cupola, corpi cilindrici, braccia stilizzate rettangolari) che tanto hanno influenzato gli artisti del nostro Novecento. Ci sono figure appiattite, a forma di violino, donne sedute con gambe incrociate, altre incinte distese o a gambe piegate e braccia aperte nel modo arcaico del partorire. La lenta transizione della rappresentazione del divino, da femminile a prevalentemente maschile, vede apparire gli idoli androgini di Cipro, con i simboli evidenti, quanto enigmatici, di entrambi i sessi: come la “dama di Lemba” col corpo a violino e il ventre sporgente e la testa stilizzata di forma fallica. Tra le sorprese della mostra ci sono poi gli “idoli con gli occhi”, dove la figura umana quasi è annullata per dare massima evidenza agli occhi “specchio dell’anima” e dunque primo veicolo di spiritualità e strumento di contatto con il divino e con l’aldilà. Le statuette hanno spesso i segni di rotture e riparazioni, dovuti all’utilizzo rituale. I luoghi dei ritrovamenti (dentro sepolture o tra vasi che si suppone destinati alle offerte agli dèi) possono dare un vago indizio sul loro significato. Il resto lo fanno proprio i confronti tra civiltà più o meno remote o recenti, vicine o lontane, e soprattutto lo fa l’immaginazione interpretativa degli studiosi di oggi.
IL CATALOGO. “Idoli, il potere dell’immagine” a cura di Anne Caubet, con contributi di 23 studiosi. Edito da Skira. Versione in italiano e in inglese (“Idols, the Power of Images”). 256 pagine tutte a colori. In libreria a 56 euro. Fotografie a cura di Hughes Dubois. In copertina la “Dama dell’Oxus” o “Venere Ligabue”.
INFO MOSTRA. A Palazzo Loredan sede dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti (Campo Santo Stefano, 2945, Venezia) dal 15/9/2018 al 20/01/2019. Vaporetto Linea 2 fermata S. Samuele oppure Linea 1 fermata Accademia. Orari da martedì a domenica: 10-18. Chiuso il lunedì. Ingresso: 8 euro, ridotto 7, speciale 4 euro per bambini da 4 a 12 anni.Altre informazioni sulla mostra e sulle visite; tel. +39 041 2705616; mail: prenotazioni@fondazioneligabue.it.
UOMINI SERPENTI. La quindicina di “Veneri di Battriana” esposte, tra cui alcune in forma di divinità-uccello – mute testimoni di una civiltà poco conosciuta, fiorita tre millenni fa dove oggi c’è il Turkestan afghano – consentono un confronto senza precedenti di stili e di lavorazioni. Tra loro non poteva certo mancare la “Venere Ligabue” che Giancarlo comprò nei primi anni Settanta e oggi è fiore all’occhiello della Fondazione. Accanto ci sono alcuni rarissimi “uomini-drago dell’Oxus”, tozze figure maschili – dèi o demoni – coperti di squame di serpenti, col volto ferocemente sfregiato da una profonda cicatrice: insondabili protagonisti di un mito ormai dimenticato, perduto. Di difficile interpretazione è anche l’uomo taurino in alabastro (corpo umano, testa di toro) scolpito in Mesopotamia quattro millenni e mezzo fa, che non può non ricordare il Minotauro cretese anche se non esistono collegamenti documentati. Lo stesso può dirsi della statuetta di uomo stretto nelle spire di serpenti (Iran meridionale, risalente a 5 mila anni fa) che potrebbe richiamare – chissà – la figura omerica di Laocoonte.
DEE MADRI. Molto significative nel percorso della mostra sono le raffigurazioni simboliche, per riti legati alla fertilità e ai raccolti, di dee madri dai seni, fianchi e glutei enormi, sovrabbondanti: sono tra i reperti più antichi e provengono dalla Spagna, dalla Sardegna, dalle Cicladi, dalla Mesopotamia, dall’Anatolia e dall’Egitto. Le somiglianze stilistiche e l’utilizzo dei materiali più diversi (come l’avorio africano o le pietre dure afghane) sono la prova degli intensi scambi fra zone lontanissime tra loro. Mentre fiorivano un po’ dovunque tra l’Atlantico e l’Asia centrale, le prime civiltà urbane, mentre l’agricoltura stanziale si affermava, mentre le tribù e i clan venivano sostituiti nell’esercizio del potere dalle primordiali forme di Stato, nel bacino mediterraneo e nelle sconfinate regioni orientali esistevano importanti vie di comunicazione e di interscambio non solo di merci, ma anche di idee, culture, esperienze, tecnologie innovative.
IDOLI CON OCCHI. Particolarmente affascinanti sono gli idoli astratti e geometrici (nasi triangolari, seni a cupola, corpi cilindrici, braccia stilizzate rettangolari) che tanto hanno influenzato gli artisti del nostro Novecento. Ci sono figure appiattite, a forma di violino, donne sedute con gambe incrociate, altre incinte distese o a gambe piegate e braccia aperte nel modo arcaico del partorire. La lenta transizione della rappresentazione del divino, da femminile a prevalentemente maschile, vede apparire gli idoli androgini di Cipro, con i simboli evidenti, quanto enigmatici, di entrambi i sessi: come la “dama di Lemba” col corpo a violino e il ventre sporgente e la testa stilizzata di forma fallica. Tra le sorprese della mostra ci sono poi gli “idoli con gli occhi”, dove la figura umana quasi è annullata per dare massima evidenza agli occhi “specchio dell’anima” e dunque primo veicolo di spiritualità e strumento di contatto con il divino e con l’aldilà. Le statuette hanno spesso i segni di rotture e riparazioni, dovuti all’utilizzo rituale. I luoghi dei ritrovamenti (dentro sepolture o tra vasi che si suppone destinati alle offerte agli dèi) possono dare un vago indizio sul loro significato. Il resto lo fanno proprio i confronti tra civiltà più o meno remote o recenti, vicine o lontane, e soprattutto lo fa l’immaginazione interpretativa degli studiosi di oggi.
IL CATALOGO. “Idoli, il potere dell’immagine” a cura di Anne Caubet, con contributi di 23 studiosi. Edito da Skira. Versione in italiano e in inglese (“Idols, the Power of Images”). 256 pagine tutte a colori. In libreria a 56 euro. Fotografie a cura di Hughes Dubois. In copertina la “Dama dell’Oxus” o “Venere Ligabue”.
INFO MOSTRA. A Palazzo Loredan sede dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti (Campo Santo Stefano, 2945, Venezia) dal 15/9/2018 al 20/01/2019. Vaporetto Linea 2 fermata S. Samuele oppure Linea 1 fermata Accademia. Orari da martedì a domenica: 10-18. Chiuso il lunedì. Ingresso: 8 euro, ridotto 7, speciale 4 euro per bambini da 4 a 12 anni.Altre informazioni sulla mostra e sulle visite; tel. +39 041 2705616; mail: prenotazioni@fondazioneligabue.it.
*Giornalista