*Corrado Poli
Quanti di noi ricordano che nel 2012 il Premio Nobel per la pace fu assegnato all’Unione Europea? Ce lo siamo meritato allora e dovremmo continuare sulla strada intrapresa quasi settant’anni fa per meritarcelo ancora. Quanti, grazie all’ Europa hanno viaggiato, studiato in Erasmus e soprattutto si sentono cittadini europei oltre che del loro paese e della loro regione? Se è vero che oggi muoiono nel mare molti migranti, quanti sono stati accolti nella nuova e pacifica Europa che 70 anni fa aveva compiuto l’Olocausto e lo stava ripetendo in Bosnia, dove non era ancora arrivata?
E la nostra Europa multietnica somiglia forse a quella nazionalista e razzista di 80 anni fa? Abbiamo motivo di essere orgogliosi e ricordare quell’importante riconoscimento per continuare sulla stessa strada e anzi fare ancora meglio. A ottenere quel premio abbiamo contribuito tutti. Se solleviamo il problema dei migranti, sia pure offrendo diverse soluzioni è perché l’Europa ha creato in noi una sensibilità di accoglienza. Settant’anni fa noi europei (italiani e tedeschi in particolare) abbiamo ammazzato sistematicamente sei milioni di persone e ci siamo ammazzati tra noi in numero ancora superiore. Oggi ci sentiamo colpevoli (e giustamente) per la mancata assistenza che talora provoca vittime. Meritiamo il Nobel per la pace … e lo meriteremo ancora di più se continueremo a lottare per migliorare ancora nel segno della civiltà.
Io ho la stessa età dell’Europa. Quando ero piccolo mio nonno – un ufficiale – mi parlava sempre e solo di guerra. Ne aveva fatte due molto lunghe e sanguinose. La sua percezione degli altri paesi, che chiamava nazioni, era sempre di competizione e di nemici. Aveva un’idea arcana e rigida del confine e della frontiera. Il suo migliore amico era un medico sudtirolese che durante la prima guerra mondiale aveva combattuto sul fronte opposto. Si capivano e consideravano la guerra una nobile arte. Mio nonno era una bravissima persona, amata e rispettata. Ma, intriso di valori risorgimentali, si sentiva a casa solo nella sua “nazione”. Negli anni cinquanta andavamo in Svizzera per comprare sigarette e il passaggio della frontiera era un affare serio di controlli. Ma anche andare in Francia o in Austria ti dava la sensazione di essere in un altro mondo inconciliabile con il tuo.Non parliamo di quando andai oltre cortina per delle gare di atletica: visti e contro visti, fili spinati e tanti soldati e caserme.
Entravi in un mondo completamente diverso … ma poi la corsa che facevo era esattamente la stessa e chi correva più forte la vinceva su una pista uguale a tutte le altre. Poi non servì più nemmeno la carta di identità per passare in Francia. E quel giorno nel 1989, attraversando il Reno verso la Francia, la mia compagna mi disse: “ma guarda un po’, che vergogna: dopo tante guerre, adesso non ti chiedono nemmeno un documento”! Ricordai la canzone tedesca “Die Wacht am Rhein”, non solo nazista e cantata nel film Casablanca che riportava la paura dell’altro che allora era… “solo” un francese. E non era ancora niente di quello che avrei visto qualche mese dopo quando i muri crollarono e fummo invasi da popoli che erano rimasti imprigionati per quarant’anni. E Berlino l’ho vista più volte di qua e di là del muro. Ma quando con l’euro non ho più dovuto cambiare moneta e mi capivo sul valore degli oggetti con i miei amici spagnoli e francesi, austriaci e tedeschi, mio nonno era dimenticato ormai. I miei studenti erano tutti di ritorno da un paese d’Europa, dove avevano studiato e spesso trovato il partner. Io svolgevo ricerche con colleghi di tutta Europa e la burocrazia, così vituperata, consentiva di parlare lo stesso linguaggio nello sviluppare i progetti INTEGRA, EQUAL, INTERREG che permettevano di conoscerci meglio e soprattutto di lavorare insieme. Penso a mio nonno che voleva riconquistare l’Istria e la Dalmazia: adesso italiani e croati condividiamo un’ancora imperfetta cittadinanza europea, al pari di tedeschi e polacchi nella Slesia e in chissà quante altre regioni d’Europa, ognuna diversa dall’altra, unite da un passato di sangue che dobbiamo superare. Questa Europa, che si fonda sulla diversità, non ha fatto più una guerra da quando sono nato e si merita il Nobel per la Pace! Dove non c’era Europa, c’è stata guerra! Sono orgoglioso di fare parte di questa Unione Europea che ho visto crescere e diventare un fatto reale da utopia che era ai tempi del nonno quand’ero ancora alle elementari.
*Docente – Scrittore