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Questione di pressione: troppo alta o troppo bassa, ecco cosa fare

di Stefano Chiaramonte*

Tre frasi ricorrono frequentemente in ambulatorio durante il colloquio con un paziente iperteso: “la pressione giusta è 100 più l’età, vero?”, “nella nostra famiglia la portiamo tutti alta”, “non mi spiego perché ho la pressione alta eppure prendo sempre le medicine”,

Dietro l’apparente umorismo di queste espressioni vi sono alcuni concetti fondamentali da chiarire.

L’ipertensione arteriosa è una condizione clinica in cui la pressione del sangue nelle arterie del circolo sistemico risulta elevata.  A seconda dei valori pressori, oggi vengono classificati diversi stadi cui corrispondono differenti profili di rischio e differenti indicazioni di terapia.

Classificazione dell’Ipertensione (American College of Cardiology/American Heart Association)

  Sistolica Diastolica
Pressione normale Inferiore a 120 mmHg Inferiore a 80 mmHg
Pressione elevata 120 – 120 mmHg Inferiore a 80 mmHg
Ipertensione stadio 1 130 – 139 mmHg 80 – 90 mmHg
Ipertensione stadio 2 Superiore a 140 mmHg Superiore a 90 mmHg

 Numerosi studi clinici hanno documentato che l’effetto benefico della terapia sulla morbilità e mortalità cardiovascolare è legato prevalentemente alla riduzione della pressione arteriosa di per sé, indipendentemente dal farmaco impiegato. Come dire… l’importante è il risultato!

Un valore di pressione inferiore a 130/85 mmHg risulta essere il target ottimale nella popolazione generale. Nonostante la crescente evidenza che l’ipertensione sia uno dei maggiori fattori di rischio cardiovascolare e che le strategie terapeutiche riducano considerevolmente tale rischio, numerosi studi dimostrano che una notevole frazione di individui ipertesi sono ignari di tale condizione o, anche se ne sono edotti, non risultano trattati e che, fra i pazienti in terapia, solo una percentuale  inferiore al 20% raggiunge il target pressorio ottimale.

Una familiarità positiva per ipertensione è presente in circa la metà dei soggetti ipertesi. A parte il caso di alcune rare sindromi ipertensive a trasmissione ereditaria documentata, la componente genetica dell’ipertensione resta un’ipotesi possibile, suggestiva ma ancora tutta da dimostrare. Nei soggetti ipertesi sono stati descritti numerosi polimorfismi di alcuni geni, cioè variazioni dell’architettura standard di una sequenza del DNA, ma non è ancora noto il ruolo specifico di questi segmenti di DNA e quindi il significato clinico di queste variazioni. Dato che l’ipertensione è un disturbo eterogeneo a genesi multifattoriale, il concetto di familiarità sembra piuttosto legato alla condivisione di cattive abitudini alimentari, stile di vita e condizioni psico-sociali.

Un’adeguata modifica dello stile di vita rappresenta la base della prevenzione dell’ipertensione arteriosa ed elemento integrante della terapia.  Gli interventi che si sono dimostrati efficaci includono:

– la restrizione dell’apporto di sale ad un massimo di 5 grammi al giorno

– la limitazione del consumo di alcol fino a due bicchieri al giorno per i maschi e un bicchiere per le femmine

– l’aumento del consumo di frutta e verdura

– la riduzione dell’introito di grassi saturi e dei livelli di colesterolo

– la riduzione e il mantenimento del peso corporeo con un Indice di Massa Corporea inferiore a 25 Kg/m2

– la pratica di esercizio fisico regolare per almeno 30 minuti al giorno

– la sospensione del fumo

Per quanto riguarda la terapia farmacologica, le principali classi di farmaci antipertensivi oggi disponibili sono rappresentate da diuretici, beta-bloccanti, calcio-antagonisti, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina e antagonisti recettoriali dell’angiotensina II, vasodilatatori diretti.

L’andamento della pressione è fisiologicamente variabile nello stesso soggetto in relazione a molteplici fattori: variazioni stagionali nell’alimentazione, nel peso e nell’attività fisica, nell’attività lavorativa per cui non si può considerare uno schema di terapia fissa ma è necessario personalizzare il trattamento sulla base del quadro clinico del soggetto, tenendo conto di risultato clinico, tollerabilità ed effetti collaterali.

In linea di massima la combinazione di due farmaci antipertensivi impiegati a basso dosaggio ha un’efficacia superiore a quanto ottenuto con l’incremento del dosaggio di un singolo farmaco e con minori effetti collaterali.

Le evidenze più recenti supportano l’importanza di iniziare la terapia antipertensiva precocemente nella storia del paziente iperteso, prima che il danno d’organo si sviluppi, che il rischio cardiovascolare aumenti e che l’ipertensione diventi più resistente al trattamento.

Come dire….chiudere la porta del pollaio prima che le galline scappino…!!

Nelle prossime puntate approfondiremo altri aspetti di questa importante problematica. Seguiteci.


IMG_7430*Nefrologo – Coordinatore del Programma di Prevenzione del Rischio cardiovascolare – Casa di Cura Villa Berica – Vicenza

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