di Corrado Poli*
Da ormai centocinquant’anni – se non da sempre – si parla della questione femminile e della parità di diritti tra maschi e femmine. È giunto il momento di affrontare la questione maschile, oggi non meno problematica di quella femminile. A scanso di equivoci, non si negano alcune discriminazioni che le donne ancora subiscono. Nelle società e nei paesi più sensibili, per quanto tuttora sottovalutato, si riconosce il disagio maschile come importante problema di genere. L’Italia è in ritardo nel prenderne coscienza. Inchieste e studi sulle discriminazioni delle donne abbondano; molto meno conosciute sono le ricerche sui disagi dei maschi in quanto tali.
Alcuni problemi sono già emersi, tra cui quello dei padri separati. Altri pregiudizi sono radicati e sviano le analisi. Per esempio, la vecchia retorica e il linguaggio presumono che dal marito dipenda ancora il mantenimento della famiglia, mentre oggi questa secolare convinzione è per lo più smentita dai fatti. Questo modo di percepire una società che non esiste quasi più nella realtà comporta non poche conseguenze negative sull’identità maschile.
Un altro esempio sono i risultati scolastici. Da oltre quarant’anni le donne diplomate sono in numero maggiore dei maschi. Succedeva che i maschi, soprattutto nel Nord e nel Veneto in particolare, trovavano subito lavoro mentre le donne aspettavano, studiando, di trovare marito. Ma la maggiore istruzione non ha forse consentito alle donne di gestire meglio le situazioni nel privato e nel pubblico? E la cultura non le ha rese più sensibili e aperte al cambiamento? Non si può pensare che una maggiore istruzione avrebbe consentito agli uomini di superare stereotipi antichi se a quattordici anni non fossero stati subito imprigionati nel lavoro? Si può considerare una violenza di genere l’avere indotto i maschi a lavorare e non studiare? Tanto più che, come diremo, i risultati scolastici e l’organizzazione della scuola penalizzavano e frustravano i maschi. Oggi anche le laureate e le dottoresse di ricerca sono più dei maschi: una vera rivoluzione culturale rispetto a mezzo secolo fa quando le donne che andavano all’università erano poche. Considerando tutta la popolazione, nel solo Veneto, abbiamo già 270mila donne laureate a fronte di 216mila maschi, ma tra la popolazione con meno di quarant’anni, la sproporzione è quasi drammatica: su ogni cento laureati oltre i tre terzi sono femmine. Per ogni donna che abbandona gli studi, ci sono più di due uomini.
Stando così le cose, non sarebbe opportuno pensare a rendere scuola e università (e società) adatte anche ai maschi? È possibile che l’esclusione da una educazione idonea sia alla radice dei comportamenti aggressivi?
Si potrebbero riconsiderare programmi e classi miste per età tra i 12 e i 17 anni? Le frustrazioni che maschi ancora immaturi subiscono durante l’adolescenza, costretti nelle stesse classi di ragazze più mature che li dominano può riflettersi su altri comportamenti che affrontiamo senza strumenti culturali idonei a comprenderli.
Ancora più drammatici sono i dati sui suicidi: per ogni donna che si toglie la vita, ci sono quasi cinque maschi che fanno altrettanto! Questo dato drammatico della condizione maschile dovrebbe rendere quasi irrilevante che nei ranghi più elevati – alti magistrati, primari, rettori – effettivamente prevalgano ancora i maschi. Ma riguarda poche persone ai vertici di organizzazioni del cui funzionamento le donne sono già pienamente responsabili e molto più numerose dei maschi ai livelli intermedi. Il numero di donne quarantenni nelle posizioni direttive è pressoché pari a quello dei coetanei. Si tratta anche di una questione di età: alle posizioni elevate si giunge tardi e le statistiche su tutta la popolazione non prendono in considerazione che nei prossimi dieci/vent’anni avverrà una graduale sostituzione di molti maschi anche nelle posizioni di vertice. Il rischio di non prendere in considerazione il crescente disagio maschile riguarda tutta la società, incluse le donne ed è quindi una questione che non deve contrapporre maschi e femmine, trattandosi di un problema comune: il più comune dei problemi.
*Docente-Scrittore