di Stefano Chiaramonte*
Sovrappeso ed obesità: questo è un argomento proprio difficile da trattare!
I primi complimenti arrivano appena nati: “che bel bambolotto!” e poi di seguito “ guarda che belle gambotte!”, “senti che fisso!”. Poi ci si mettono le nonne con manicaretti vari “mangia che ti fa bene”, “…tanto…dopo, quando cresce si allunga..!”.
Se poi si considera che, fino a non molto tempo fa, il modello di bellezza era rappresentato da personaggi floridi che con le loro forme rotonde richiamavano salute, prosperità, serenità, il gioco è fatto! Con un simile imprinting è difficile considerare il sovrappeso come un problema di salute, al massimo impatta con l’estetica.
In realtà, l’aumento del peso corporeo comporta un aumento della mortalità che risulta progressivamente maggiore in proporzione all’incremento ponderale e può essere correlata a varie cause ben documentate: malattia coronarica, ictus, diabete, insufficienza renale, cancro. Numerosi studi epidemiologici hanno confermato che la spettanza di vita dei soggetti obesi è significativamente ridotta, in egual misura per entrambi i sessi. Non è certamente una bella prospettiva.
Anche volendo essere meno pessimisti non possiamo ignorare che l’obesità comporta un’importante morbilità. La pressione arteriosa è spesso aumentata e con essa il rischio di patologia coronarica e cardiovascolare. La dislipidemia è quasi sempre presente. Più dell’80 % dei casi di diabete tipo 2, quello dell’adulto, insorge come complicanza dell’obesità. L’apparato osteoarticolare (specie colonna ed arti inferiori) non è risparmiato dovendo sostenere e portare a spasso un peso molto maggiore del previsto. Non possiamo ignorare le alterazioni della funzione polmonare che vanno dall’espansione del volume residuo polmonare secondario all’aumento della pressione addominale sul diaframma ed alla ridotta forza e resistenza dei muscoli intercostali, alla malattia asmatica fino alla più grave sindrome delle apnee notturne. L’elenco è ancora lungo con le varie patologie gastrointestinali, urinarie, genitali, cutanee.
Il guaio è che tutte queste problematiche possono coesistere nello stesso soggetto ed il loro impatto è proporzionale all’aumento del peso.
Non è un problema di punti di vista. Il peso si misura con un criterio oggettivo, scientifico, il BMI, body mass index (Indice di massa corporea espresso in Kg/metro quadro di superficie) che si calcola con una semplice formula, dividendo il peso (in Kg) per l’altezza elevata al quadrato (in metri). Il valore di BMI classifica una condizione di normalità (inferiore a 25), di sovrappeso (fra 25 e 29.9) di obesità moderata (fra 30 e 34.9), di obesità severa (oltre 35).
La sola determinazione del BMI è comunque un parametro un po’ riduttivo perché è necessario considerare soprattutto la distribuzione del grasso corporeo. Il grasso viscerale (impropriamente definito addominale) risulta essere l’elemento più predittivo della malattia metabolica e delle complicanze cardiovascolari. Una valutazione approssimativa può essere effettuata misurando la circonferenza addominale che non deve superare i 95 cm nelle femmine e 102 cm nei maschi ma la metodica migliore è la densitometria total body con tecnica DXA che consente di mappare la distribuzione del grasso corporeo e quantificare con precisione quello viscerale e fornisce un dato confrontabile nel tempo per seguirne l’evoluzione. Il grasso viscerale, quando aumentato, è un grave fattore di rischio anche nei soggetti che risultano avere un BMI inferiore al fatidico limite di 25.
In questi ultimi anni, l’obesità ha superato il fumo quale causa principale di morte o disabilità. Eppure, questo concetto scivola via sulle spalle degli interessati, sembra entrare da un orecchio ed uscire dall’altro, anzi la ripetizione del concetto genera un certo fastidio, insofferenza. D’altra parte, questa condizione nasconde spesso risvolti psicologici complessi, problematici, motivazioni intime che inducono a mangiare in eccesso fino alla bulimia ed è vissuta male, con rassegnazione o con un senso di colpa al punto che la Società Italiana dell’Obesità propone di cambiare la definizione di “soggetto obeso” con “soggetto affetto da obesità” per rafforzare il messaggio di “patologia da curare” piuttosto che di “etichetta da appiccicare ad un paziente”.
Il problema è che l’obesità non fa male come un dente cariato o l’artrosi della colonna. In quei casi si corre dal Medico che pone una diagnosi e prescrive una terapia che, generalmente, porta alla guarigione. Qui la diagnosi è facile, la prognosi, seppur infausta, non viene percepita come una minaccia incombente ma la terapia non consiste in una pillola o in una puntura ma richiede un importante cambiamento dello stile di vita che significa consapevolezza, impegno, determinazione, costanza, rinunce.
Qui viene il difficile. Bisogna convincere il paziente: ce la puoi fare! Ne vale la pena!
*Nefrologo. Coordinatore del Programma di Prevenzione del Rischio Cardiovascolare – Casa di Cura Villa Berica di Vicenza