di Nelli-Elena Vanzan Marchini*
Nel 1909 il medico ampezzano Angelo Majoni voleva aprire a Cortina un Centro per la Cura della Tubercolosi Polmonare, ritenendo che il suo clima fosse indicato per il trattamento di questa patologia allora molto diffusa. L’imponente edificio, appena costruito in località Cademai, sembrava adatto allo scopo per la sua ubicazione nel verde e circondato com’era dalle Dolomiti, ma la famiglia cortinese Verzi lo acquistò per farne il “Grand Hotel des Alpes”.
Distrutto dalla Grande Guerra, il sito venne acquisito dagli Istituti Ortopedici Rizzoli di Bologna per fondarvi un centro per il trattamento della tubercolosi ossea, secondo il progetto di Vittorio Putti. L’Istituto Elioterapico per la cura della tubercolosi ossea cominciò la sua attività nel 1923 con pazienti trasferiti dal Rizzoli e fu dedicato alla memoria del professor Alessandro Codivilla (1861-1912) maestro di Putti e suo predecessore al Rizzoli.
Già dalla seconda metà dell’Ottocento si erano utilizzate la climatoterapia e l’elioterapia al mare e in montagna per il trattamento sia della tubercolosi ghiandolare detta “scrofola” che della tbc ossea, Giuseppe Barellai fondò a tale scopo lungo le coste italiane degli ospizi marini per i bambini mentre in Germania Ermanno Brehemers, convinto dei benefici effetti dell’altitudine, fece costruire nel 1859 e nel 1875 due sanatori a circa 600 metri sul livello del mare. Entrambi avevano constatato che le metropoli, malsane e inquinate dallo sviluppo industriale, erano i principali incubatori della tbc il cui bacillo, scoperto da Robert Koch nel 1882, era sensibile ai raggi ultravioletti e al clima incontaminato sia montano che marino. La prima guerra mondiale incrementò il numero dei tubercolosi fra i reduci, la cui salute era stata minata dagli stenti e dalla dura vita in trincea ma anche dall’affollamento delle caserme.
I collegamenti con il territorio italiano influirono sulla fortuna dell’elioterapico, la ferrovia che il 18 giugno 1914 era arrivata solo fino a Calalzo, dopo la guerra, nel 1921, fu estesa fino a Dobbiaco con un tratto a scartamento ridotto[1] che passò proprio davanti al Codivilla, dove fu collocata la piccola stazione che compare nelle foto dell’epoca. (foto 1) Sul tetto dell’edificio si trovava l’osservatorio metereologico per rilevare le variazioni climatiche e studiarne gli effetti sulla salute umana. Nel 1928 il Governo Italiano istituì l’obbligo dell’assicurazione contro la tubercolosi affidando all’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) la gestione delle prestazioni assistenziali. Tale legge (n.1132, del 20/5/1928), era fortemente innovativa perché fondeva l’aspetto curativo/assistenziale con quello prettamente assicurativo/previdenziale contemplando oltre alla cura degli assicurati, anche sostegno economico sia nel periodo del trattamento che in quello successivo alle cure.
Al Codivilla gli iniziali 100 posti letto si rivelarono insufficienti perciò fra il 1936 e il 1939 l’Istituto Rizzoli fece costruire un nuovo padiglione verso la montagna con circa 150 letti, dedicato a Vittorio Putti (1880-1940).(foto 2)
Durante la seconda guerra mondiale l’ospedale venne requisito prima dall’esercito tedesco e poi da quello inglese che lo utilizzarono per la cura dei soldati feriti. Con la pace riprese le sue funzioni di ospedale specializzato per il trattamento della tubercolosi ossea. (foto 3) Centinaia di lastre fotografiche, con le quali si fissavano i segni delle patologie e gli effetti della cura e della riabilitazione (foto 4) testimoniano l’intensa attività scientifica dell’Ospedale la cui fama era cresciuta fra le due guerre.
Con il boom economico degli anni ’50 la climatoterapia e l’elioterapia per il trattamento della tubercolosi vennero lentamente soppiantate dalla introduzione degli antibiotici e dai trattamenti farmacologici che l’industrializzazione imperante promosse su ampia scala. Le lunghe e costose degenze andarono scomparendo poiché i pazienti stavano diventando consumatori di farmaci a domicilio. L’officina dei gessi con i quali si trattava la tbc ossea venne utilizzata per gli incidenti sul lavoro e per i traumi sportivi, si registrò inoltre un interessante slittamento delle ricadute positive della ricerca medica. Nel corso dell’Ottocento, infatti, l’ortopedia aveva affinato le sue tecniche sui corpi dei lavoratori sfruttati nei latifondi, sui militari mandati al fronte, sulla prole degli operai emaciata per la promiscuità e la sottoalimentazione, le esperienze acquisite erano messe a frutto con la agiata clientela a pagamento. I Galatei medici dell’Ottocento consigliavano ai chirurghi di addestrarsi sui ricoverati poveri degli ospedali pubblici per esibirsi poi al meglio con i pazienti privati. Il Novecento iniziò con una entusiastica fiducia nello sviluppo tecnologico, i suoi miti della velocità e della prestanza fisica diffusi fra le élites europee, crearono una varia casistica di vittime abbienti degli sport di lusso, dall’automobilismo all’aviazione, dallo sci alle diverse forme di agonismo ludico. Questa torma di infortunati eccellenti richiese specializzazione, trattamenti privilegiati a pagamento, produsse introiti sollecitando eccellenze operatorie e riabilitative con ripercussioni positive anche sulla cura dei meno abbienti.
L’industria del tempo libero, creando infortuni sportivi, richiese adeguati interventi innovativi che il Codivilla Putti organizzò in occasione delle Olimpiadi invernali del 1956 (foto 5) quando si ampliò dotandosi di servizi per la traumatologia sportiva che restarono attivi anche dopo i giochi olimpici e furono implementati con la riabilitazione cardiologica e pneumologica.
Il Codivilla, che aveva accolto pazienti illustri come Alberto Moravia, si trasformò in sintonia con la moda della villeggiatura alpina e del turismo sportivo, assecondando Ia ricerca della forma fisica. La pratica salutare delle attività ricreative e competitive nel contesto degli scenari spettacolari e incontaminati delle Dolomiti venne corredata di appuntamenti mondani e attrasse a Cortina molti facoltosi villeggianti e residenti.
Il ricco archivio scientifico, fotografico e strumentario del Codivilla racconta pagine importanti della scienza medica, registra la nascente cultura sportiva e la storia del turismo alpino, documentando la memoria delle cure climatiche e riabilitative fino ai giorni nostri. Con la riforma del Sistema Sanitario Nazionale il Codivilla Putti nel 1980 passò alla ULSS 1 di Belluno che in questi giorni ha bandito il concorso per l’affidamento ventennale della struttura ad un privato che la restaurerà e la utilizzerà a fini sanitari. Fra i beni mobili dell’Ospedale vi è anche il suo prezioso patrimonio storico-archivistico la cui conservazione non produce reddito come le tecnologie terapeutiche, ma costituisce un bene comune che, se non tutelato, rischia la dispersione e, se valorizzato, potrebbe fornire promozione, cultura e immagine perché registra la storia del territorio e del turismo per cura e per svago che hanno reso celebre Cortina. E’ auspicabile che questo patrimonio storico venga inventariato, custodito e fatto conoscere come la preziosa testimonianza di un passato che potrebbe rappresentare il valore aggiunto e il volano dei futuri appuntamenti mondiale e olimpionico con la forza di una tradizione e di una cultura che hanno radici lontane.
Qualora nè il Comune di Cortina nè la Regione del Veneto volessero farsi carico della tutela e conservazione di questa parte rilevante della storia della scienza europea, sarebbe auspicabile che la ULSS 1 lo donasse al Museo Donazione Putti e Raccolta Rizzoli-Codivilla di Bologna.
Foto
1 – Il Putti eretto nel 1939
2 – L’Istituto Elioterapico Codivilla nel 1924
3 – L’elioterapia sulla neve, Olio su tela anni 40
4 – Lastra fotografica che ritrae una paziente 1927
5 – Manifesto delle olimpiadi del 1956
[1] il collegamento fu sospeso il 17 maggio 1964 e la linea ferroviaria rimossa.
*Scrittrice -Docente
Simona B.
18 Maggio 2023 at 11:00Mio padre lavorava al Codivilla Putti alla fine degli anni 60 inizio anni 70… era dipendente del Rizzoli di Bologna e aveva la possibilità di fare lunghe trasferte al Codivilla per prestare lì la sua opera di tecnico di radiologia. Penso che alcuni dei suoi ricordi più belli siano di quei tempi e di quei posti incantati dove ha continuato a portare la famiglia in villeggiatura per anni avendo così modo di rivedere colleghi e, ormai, amici ampezzani. Al di là di questa piccola “storia nella storia” ritengo che questo patrimonio vada tutelato al meglio. Codivilla-Putti sono stati un centro medico di eccellenza, oltre che un luogo in cui si sono incrociate molte vite. Sarei felice di sapere che l’archivio è stato conservato nel migliore dei modi.