Immortale. Come il suo campione più amato, Ayrton Senna, a cui si è rivolto spesso anche negli ultimi tempi, durante la malattia che, giorno dopo giorno, inesorabilmente lo ha consumato. Sembra strano adoperare questa parola – ”Immortale” – proprio oggi, giorno della morte di Beppe Donazzan, giornalista e scrittore, nato a Pove del Grappa alle porte di Bassano, in provincia di Vicenza, l’8 marzo 1949. Beppe è morto, all’età di 69 anni, nella sua casa di Bassano del Grappa, circondato dall’affetto e dalle cure instancabili, della moglie Maria Teresa e dei figli Marco e Luca che non l’hanno mai lasciato solo, anche in questi mesi (circa un anno e mezzo) tremendamente difficili. I funerali si svolgeranno giovedi 31 alle 15 a Pove del Grappa, suo paese natale, nella chiesa parrocchiale di San Vigilio (in via Guglielmo Marconi n. 80) proprio per sua espressa volontà. Beppe Donazzan era come Ayrton Senna. L’asso brasiliano al volante, lui nella scrittura, tra le scrivanie di una redazione, o mentre stava rifinendo un libro da dare alle stampe. Veloce, sempre di corsa. Ma al tempo stesso attento ai minimi particolari, che poi riportava fedelmente nella scrittura dei suoi pezzi. Anche nei grandi eventi, spesso partiva da un piccolo particolare per poi condurre il lettore dentro l’evento, in un grande articolo. Da Luca Montezemolo, all’ultimo dei collaboratori della provincia veneta, per lui non c’era differenza nel dare tempo, attenzione e nell’esprimere competenza. Anche negli incontri a cui in pochi avrebbero concesso non più di cinque minuti del prezioso tempo che scorre, lui, invece, c’era sempre. Con generosità. “Immortale”: non c’è parola che lo possa definire nel modo migliore, prendendo in prestito il titolo di un suo libro dedicato a Ayrton Senna e pubblicato nel 2014. Il Nordest perde una delle sue penne più brillanti. Ma, in fondo, “Immortale” Beppe lo è davvero grazie alla sua grande lezione e al suo esempio che continueranno a vivere anche dopo la sua morte. Così è stato per quanti hanno avuto il privilegio di incontrarlo, di condividere con lui qualche momento, così da imparare la sua grande lezione. Una lezione che era anzitutto uno stile di comportamento. Era un uomo, e un giornalista d’altri tempi. Un precursore: certe sue scelte editoriali compiute oltre vent’anni fa, e per quegli anni decisamente inusuali, oggi sono, invece, di grande attualità e pane quotidiano nei grandi giornali. Questo era il suo destino: uno che preferisce tracciare una strada anziché seguirla. Dovendo quasi convivere con il dubbio di non essere capito fino in fondo: Alla guida di “OgniSport” (l’inserto sportivo del Gazzettino al lunedì) è stato tra i primi in Italia a puntare forte, con decisione e altrettanta garbata fermezza, sulle rubriche di approfondimento: dalla moviola, al calcio estero. In tempi non sospetti aveva compreso, con lucidità, che la carta stampata avrebbe dovuto ricavarsi un ruolo di maggior approfondimento per reggere, alla lunga la competizione, con la televisione. Eppure erano i tempi in cui la pay-tv era appena agli albori mentre la comunicazione sui social, in tempo reale, ancora non esisteva. Ma lui, diventato giornalista professionista il 25 agosto 1978, è cresciuto alla scuola del grandissimo Giorgio Lago (indimenticabile direttore del Gazzettino dal 1984 al 1996), anche in questo era già avanti. Donazzan ha seguito Olimpiadi invernali ed estive, Formula 1, campionati del mondo di rallye, Parigi-Dakar, Coppa America di vela a San Diego e Auckland come inviato de “Il Gazzettino” di Venezia. Nel quotidiano del Nordest è entrato nel gennaio del 1984 e vi ha ricoperto gli incarichi di Capo dei servizi sportivi e di Caporedattore Centrale. Il mondo dei motori e dei Gran Premi di automobilismo era la sua casa. E la passione di una vita. Sentimenti che lo hanno portato anche due Parigi Dakar, l’ultima nel 2001 in coppia con Thierry Andretta (CEO Mulberry) su Pajero Mitsubischi 3200. Dei Rallye aveva una esperienza sconfinata e non si può non ricordare la preziosa opera di ricostruzione storica sul Rallye di San Martino a cui ha dedicato diverse pubblicazioni. Un rapporto speciale lo ha però sempre legato, fin da tempi lontani al presidente dell’Aprilia, Ivano Beggio che ha raccontato in un suo libro di grande successo intitolato “Il Signor Aprilia” uscito nel 2000. La notizia della sua morte, nel marzo dello scorso anno, appresa proprio mentre anche lui stava combattendo contro la malattia, lo aveva duramente provato. E a lui aveva dedicato uno dei suoi ultimi, commoventi, messaggi sui social che, con il trascorrere del tempo, sono diventati sempre più rari. Donazzan ha collaborato anche con il settimanale “Autosprint” e il blog “Autologia”. Amico personale di tutti i più grandi: da Luca Montezemolo all’amico di sempre, Riccardo Patrese, fino a Michael Shumacher, che nel suo cuore aveva eletto come erede di Ayrton. Schumacher poi lo aveva seguito, e affiancato, anche in alcune importanti iniziative benefiche con la Nazionale piloti di calcio. Come capo dei servizi sportivi del Gazzettino non c’era solo il calcio ha fare da padrone nelle sue pagine: oltre ai motori, conosceva ogni segreto dello sci e degli sport invernali. Seguiva, insomma, lo sport a tutto tondo, con l’obiettivo di accendere un luce su tutte quelle discipline considerate dal grande pubblico, ingiustamente, minori. Gli sport di cui ci si ricorda, se va bene, solo una volta ogni quattro anni, durante le Olimpiadi. E quando non conosceva qualcosa, la andava a studiare per essere pronto e preparato. Come quando il direttore Giorgio Lago, per lui sempre un modello e un punto fermo, in un giorno d’estate lo convocò nel suo ufficio per comunicargli che, alcuni mesi dopo, avrebbe avuto l’onere, e l’onore, di seguire tutta la meravigliosa avventura del Moro in Coppa America. E aveva un occhio di riguardo per tutte quelle storie che avevano radici profonde nel suo, e nostro, armato Nordest. Pur nel rispetto dei rispettivi ruoli, aveva un rapporto personale con tantissimi campioni, e nomi importanti dello sport italiano e internazionale. E proprio per questa amicizia era riuscito a portare molte delle loro firme a scrivere sulle pagine di OgniSport. Impossibile ricordarli tutti: dalla ciclista Antonella Bellutti, che gli ha dedicato la medaglia d’oro conquistata alle Olimpiadi di Sidney del 2000, ala sciatrice Deborah Compagnoni, Raul Gardini, Sergio Campana, Luigi Agnolin e molti altri. Tra le tante, due sono le caratteristiche che ha saputo infondere in collaboratori e colleghi: una grande curiosità, che lo portava spesso ad esaltare discipline o fatti poco conosciuti, e la voglia di essere testimone in prima linea a raccontare gli eventi. Non perdendo umanità anche davanti alle grandi tragedie o a fatti che non rientravano nella sua sfera abituale di competenze come, ad esempio, la tragedia del Cermis. Come inviato, quando ancora non esistevano gli smartphone per scattare le foto o girare dei video, lui già incarnava il ruolo dei reporter a tutto tondo: non solo testi, era anche un fotografo. Davvero ricca è la sua biografia. La pensione, arrivata nell’agosto del 2009, infatti, non ha fermato la sua penna, anzi le ha concesso nuovo slancio e rinnovato vigore, consentendogli di intensificare la scrittura di libri. Tra i libri pubblicati di grande successo, ricordiamo: “Sotto il segno dei Rallye”, in due volumi (2013-2014), e “Dakar” (Giorgio Nada Editore) (2015); “Ayrton Senna Immortale” (2014), “Schumacher Simply the Best” (Ultra Sport) (2016); “Tutti figli del San Martino” (Limina) (2010); “San Martino magìa di un Rallye” (Antiga Edizioni) (2015); Il Moro di Venezia e il sogno di Coppa America” (Edizioni Mare Verticale) (2016); “Il Signor Aprilia” (2000), “Una vita a colori” (2001) e “La forza del sogno” (Marsilio) (2006). Diversi di questi titoli sono ancora oggi, a distanza di parecchio tempo dalla loro prima uscita, nei primi posti delle classifiche tra i libri più venduti on line. Anche durante la malattia Beppe, è stato un gigante: affrontando interventi chirurgici, ricoveri, in silenzio. Si è rinchiuso nel fortino della sua casa e della sua famiglia, preferendo “sparire” dal giro, senza dare nell’occhio, in punta di piedi, per non far pesare sugli altri la sua condizione fisica sempre precaria. Quando, per un intervento chirurgico, ha perso la voce per lui, abituato agli incontri, e a parlare in pubblico, il corpo è diventato quasi una prigionia sempre più stretta. Ciò nonostante non ha mai smesso di lottare, e di sperare, nella guarigione, in un miglioramento. Nel 2016 il “Moro di Venezia e il sogno della Coppa America” è stato il suo ultimo libro dato alle stampe e presentato, tra le iniziative collaterali, alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel settembre 2017 Quel giorno, pur già visibilmente segnato dalla malattia, Beppe era parso felice. Questa è stata la sua penultima uscita in pubblico. Con un filo di voce, riuscì comunque, con grandi sforzi, a tenere banco per oltre due ore, incantando la platea che aveva davanti, ripercorrendo l’avventura del 1992 del Moro, tra aneddoti, ricordi e profonde riflessioni. Ecco perché la consegna a lui del Leone d’oro, da parte del direttore del festival Alberto Barbera, il 6 settembre del 2017, è parsa a tutti un giusto tributo. Caro Beppe, c’è ancora molto da fare; e tu sai che non devi fermarti. E’ solo la fine di una giornata di lavoro: domani tutto riprenderà, per te, con te.
Ricordo del giornalista Lorenzo Mayer