di Franco Secchieri*
L’evidenza del cambiamento climatico in atto è certamente fuori discussione anche grazie alle continue “anomalie” stagionali che si manifestano in maniera più evidente nei territori maggiormente sensibili quali sono quelli delle nostre montagne. Certo non è la prima volta, e non sarà l’ultima, che il clima cambierà, la sua storia anche recente ne è la dimostrazione.
Le variazioni rispetto a quella che si suole definire norma non sono dunque una novità anche se ora ci si è messo pure il vento mediatico ad evidenziare in maniera sempre più clamorosa qualsiasi dinamica climatica o meteorologica. Ricordo che io stesso, in queste pagine, sono intervenuto per mettere in risalto situazioni particolari, specialmente in ambito glaciologico che rappresenta uno degli aspetti più emblematici della evoluzione del clima alle nostre latitudini, ma non solo.
Anche in questo caso il tema è la scarsità di neve, a tutte le quote, che potrebbe avere, purtroppo, effetti negativi rilevanti specialmente per quanto riguarda la prossima stagione estiva. I dati al momento disponibili mettono in evidenza come anche l’inverno 2018-2019 potrà concorrere ad arricchire la lista delle anomalie meteo – climatiche sia per quanto riguarda la temperatura che le precipitazioni. Infatti l’ARPA Veneto informa che il mese di Febbraio 2019 è risultato essere il più caldo (tranne una sola eccezione) dal 1980 ad oggi, un ulteriore fattore che contribuirà a far salire il “termometro” della febbre del Pianeta.
Le scarse precipitazioni nevose rappresentano a loro volta un ulteriore elemento di preoccupazione perché è ben noto come gli accumuli solidi in montagna costituiscono un volano essenziale nel ciclo idrologico in quanto rilasciano nella stagione calda (e secca) l’acqua di fusione del manto nevoso accumulatosi d’inverno. Per non parlare poi dei ghiacciai che stanno subendo conseguenze che definirei addirittura drammatiche specialmente per l’accelerazione nella fase di ritiro già cominciata verso la metà degli anni ’80 del secolo scorso. A riguardo, pur senza eccedere nel catastrofismo ambientalista, sarà possibile assistere la prossima estate ad un accentuata, desolante riduzione delle masse gelate; anche per quelle delle Dolomiti oramai ridottesi allo stremo, con molti degli apparati segnalati nel Catasto dei Ghiacciai delle Dolomiti della Regione Veneto del 2012 già addirittura scomparsi.
Con la riduzione dei ghiacciai e in mancanza di un consistente manto nevoso in quota, è facile immaginare come saranno ridotti i nostri fiumi e torrenti in caso di siccità estiva, anche se interrotta da sporadici episodi meteorologici estremi con danni certamente superiori ai benefici. Si ricordi a proposito il disastro dello scorso Ottobre.
Va detto comunque che la relativamente poca neve fino ad oggi caduta ha avuto un effetto positivo sulla stagione sciistica, anche per quanto riguarda gli impianti ed i comprensori a quote medio basse. Si è fortunatamente evitato di assistere a quel paesaggio invernale arido, coi boschi senza neve ed attraversati dalle vene bianche delle piste innevate artificialmente, sicuramente poco naturale.
Nel momento in cui scrivo, tuttavia, il caldo anomalo, grande nemico della neve, resiste anche in quota (si pensi che in Febbraio lo Zero termico è arrivato anche a superare quota 3000 metri !). Non è persa tuttavia la speranza di vedere ancora fino in Maggio, consistenti apporti nevosi almeno in quita, come succedeva spesso nei decenni precedenti.
Tutto questo, come è ovvio, sta moltiplicando gli allarmi e gli allarmismi per il futuro ambientale, anche prossimo, e non si tratta solo di un fattore estetico o paesaggistico. Infatti perdurando questo andamento termo – pluviometrico, l’aspetto economico e sociale che ne risentirà maggiormente in maniera negativa sarà l’agricoltura.
Il dibattito sul clima ed i sui cambiamenti a livello mondiale e non solo sulle Alpi, si sta ampliando anche con toni che a volte portano a scenari fuorvianti o a considerazioni talvolta inutili, magari anche dannose.
Ritengo che più che disquisire sulle cause, sulle colpe e/o sui vari rimedi, sia indispensabile porre mano fin da subito ad interventi che diano risposte concrete a situazioni di potenziale crisi, soprattutto idrica. L’avanzata di un possibile deserto, almeno così come lo si sta dipingendo a livello mediatico, la si può ostacolare o rallentare con opere di carattere idraulico e idrologico. Ad esempio la realizzazione di nuovi bacini, ove possibile, una nuova e diversa concezione del come utilizzare l’acqua piovana nelle case e nelle città, con misure realistiche contro gli sprechi. Non dimentichiamo che stiamo parlando di siccità e ancora usiamo acqua potabile nello sciacquone del bagno.
Ricordo un progetto, visto parecchi anni or sono, che avrebbe dovuto interessare il corso del fiume Po nel suo tratto mediano e fino al mare, con la realizzazione di una serie di bacini sostenuti da dighe sia per facilitare la navigazione, sia per la produzione di energia idroelettrica e per la regimazione idraulica del fiume stesso. Una idea fortemente e tenacemente contrastata, ma che adesso potrebbe essere rivista alla luce degli attuali avvenimenti climatici.
Foto:
1. (In copertina) Le tre cime di Lavaredo viste dalla Val di Landro alla fine di Febbraio; si noti la scarsa consistenza del manto nevoso al suolo.
- L’altopiano di Asiago, innevato, visto dalla Cima del Monte Verena (2.20 metri), nel Febbreio 2019.
- La superba mole innevata del Monte Antelao (3.264 metri), vista dalla valle del Boite nei pressi di Priabona; si noti come già a fondo valle il manto nevoso sia esaurito.
- Una veduta aere del Sorapis e del sua ghiacciaio centrale ormai quasi del tutto scomparso, anche perché in parte sepolto dai detriti (Agosto 2018).
- Il Monte Antelao con in primo piano il suo Ghiacciaio Inferiore, un altro dei ghiacciai dolomitici in via di estinzione.
(tutte le foto sono dell’autore)
*Glaciologo