di Corrado Poli*
Il Corriere pubblica un intervento di Dacia Maraini che esordisce così: “A Genova un uomo accoltella a morte la moglie. Il pm, Gabriella Marino, chiede 30 anni. Un giudice, Silvia Carpanini, riduce la pena a 16 anni, perché «l’uomo ha agito sotto la spinta di un sentimento molto intenso, non pretestuoso, né umanamente del tutto incomprensibile». Una riflessione pericolosa e pretestuosa. Cosa vuol dire non «umanamente incomprensibile»? Che la menzogna, l’infedeltà femminile meritano la pena di morte?”
La prima risposta a queste domande scioccamente retoriche di Maraini è che lei stessa usa un linguaggio colpevolmente sessista e mistificante! Intanto, per parità di genere avrebbe dovuto scrivere: “l’infedeltà, indipendentemente se maschile o femminile, merita la pena di morte?”
Questo perché bisogna riferirsi a un principio generale e non al fatto specifico per legiferare e giudicare. A parte questo, la domanda di Maraini è subdola. Il giudice (o la giudice se preferite) ha chiaramente scritto nella sentenza “non pretestuoso, né umanamente del tutto incomprensibile”. “Pretestuoso” significa che non ha ucciso la donna per ottenere qualcosa in cambio quali l’eredità, la custodia dei figli, un vantaggio personale nel quale includere anche per esempio, una maggiore considerazione sociale come si faceva al tempo antico del delitto d’onore. Semmai l’opposto: il delitto ha comportato conseguenze negative sullo stesso assassino. Inoltre, “incomprensibile” non significa “giustificabile”. E “del tutto” implica che è incomprensibile ma solo in parte. In ogni caso Maraini, che ha la responsabilità di essere letta da milioni di persone, non ha certamente letto tutte le carte del processo, le perizie mediche sul reo e il dibattito. È giustificabile che un uomo condotto all’esasperazione da una donna,
possa ucciderla? Assolutamente no e il giudice ha chiaramente detto che non è così
infliggendo una pesante pena di sedici anni. Non assolvendo o comminando una pena lieve! Le condizioni psichiche indotte da una gelosia chiaramente malata e morbosa che portano al delitto sono “umanamente comprensibili” indipendentemente se si tratta di una donna o di un uomo? Chi potrebbe sostenere il contrario? Sono situazioni che succedono ovunque da che mondo è mondo. Maraini contribuisce come molti altri a fomentare odio piuttosto che a comprendere le ragioni (o meglio le follie) che stanno all’origine di questi delitti. Soprattutto, anche per l’età e il mancato aggiornamento, si riferisce a condizioni culturali superate: un uomo non uccide più per difendere la propria reputazione come succedeva un tempo con il delitto d’onore. Se oggi un uomo uccide la donna che lo abbandona o tradisce, lo fa per motivi di fragilità psichica, di incapacità di sopportare il lutto dell’abbandono. In una società in cui le coppie si sciolgono e si ricreano in continuazione, davvero qualcuno pensa oggi che ci sia
qualcuno che uccide la compagna o la moglie per timore del giudizio dei vicini? È giusto
punire con equilibrio chi si rende reo di questi reati che accadono fuori da ogni razionalità, interesse e il più delle volte senza premeditazione, o al più con una folle premeditazione.
Maraini finisce poi con il pontificare: “Ma ogni possesso è schiavitù e ogni uccisione è un
crimine. Eppure, ci sono ancora molte donne che hanno talmente introiettato il concetto di inferiorità di fronte al pater familias da considerare quasi normale e perdonabile che un uomo tradito abbia il diritto di vendicarsi col sangue. Siamo di fronte a un altro tristissimo segno della regressione di cui parlavo, che ha radici più profonde di quello che pensiamo e pesca nel torbido del nostro passato patriarcale”. Un’interpretazione forse valida fino a sessant’anni fa in alcune parti d’Italia, ma da tempo superata ovunque. Se si vuole davvero affrontare il problema della violenza sulle donne, sarebbe bene aggiornare radicalmente l’impostazione del problema. Senza lasciarsi guidare da chi interpreta ancora secondo i pregiudizi della prima metà del secolo scorso e con il più becero populismo penale che si condanna in altri campi.
*Scrittore – Docente