di Stefano Chiaramonte*
La comunicazione è un elemento fondamentale nel rapporto fra medico e paziente, un insieme di obbiettività, razionalità ed empatia lungo tutto il percorso diagnostico terapeutico. Le modalità con cui viene data l’informazione al paziente sono evolute negli anni.
Qualche decennio fa il paziente non veniva informato in misura adeguata. Le decisioni venivano prese dal medico in scienza e coscienza per il bene del malato. Le notizie, specie quelle brutte, erano condivise con i famigliari, facendo il possibile per tenerne il paziente all’oscuro. L’etica medica autorizzava il medico a tacere e, se necessario, in alcuni casi anche a mentire.
Successivamente si è passati dalla possibilità di non informare all’obbligo di informare su diagnosi, cure alternative, rischi e benefici per ottenere il consenso per qualsiasi trattamento diagnostico o terapeutico. Lo scopo è quello di mettere in atto una medicina personalizzata sul paziente con cui fare una scelta consapevole e condivisa.
Più recentemente si è aggiunta un’altra motivazione, quella di attuare una medicina difensiva. La salute non è più considerata un bene ma un diritto, vengono avanzate richieste di risarcimento per ogni evento con esito negativo, si moltiplicano le organizzazioni e gli studi legali che supportano tali azioni, si riscontra una sfiducia nella medicina tradizionale. Il consenso informato equivale ad una liberatoria. Questa è la medicina notarile.
Nell’ambito del rapporto fra medico e paziente possiamo distinguere due differenti modalità di esprimere lo stesso concetto: la comunicazione è un messaggio con dei contenuti che il Medico trasmette al malato che ne prende atto senza dubitarne la veridicità mentre l’informazione è lo scambio di conoscenza che si verifica fra il Medico che trasmette un messaggio ed il malato che lo riceve e lo interpreta, cioè il significato che il malato attribuisce a ciò che gli dice il medico. Vi è differenza fra “prendere atto” e “’interpretare e rappresentare” . Questo significa che è possibile che esista uno scarto fra ciò che comunica il medico e ciò che interpreta il malato. Costui reputa vero non tanto quello che è realmente vero ma quello che, grazie alle diverse informazioni che riesce a ricavare dai messaggi che riceve e dalle relazioni di cui dispone, gli sembra vero o plausibile.
La conversazione oggi viene identificata come un momento culturalmente strategico (momento di socialità, guardarsi negli occhi, scambiare informazioni, prendersi tempo): la cosiddetta medicina narrativa e si arriva ad una formalizzazione delle regole di conversazione.
Il primo momento è quello della presentazione del Medico che illustra le sue competenze e le mette a disposizione del paziente “Buongiorno, sono il dr…, faccio…” e contemporaneamente quella del paziente che mira a valorizzare il suo status, la sua professionalità, le sue competenze per mettere le due persone sullo stesso piano di dignità eliminando quella condizione di inferiorità in cui può sentirsi il paziente a causa dello stato di necessità.
L’abbigliamento, la postura, la gestualità, le espressioni del viso sono elementi integranti per sottolineare l’impegno e l’attenzione ed il rispetto reciproco: il Medico non è il padrone del paziente, lo informa nella misura in cui vuole essere informato, gli chiede il consenso prima di intraprendere il percorso diagnostico terapeutico, ma il paziente non può cercare di ridurre il Medico a puro esecutore dei suoi desideri.
La medicina è diventata sempre più una tecno-scienza ed il rapporto fra medico e malato è diventato più complesso: la visita medica ed il tempo di contatto fisico fra medico e malato è ridotto e sostituito dalla valutazione dei dati tecnici: esami di laboratorio, radiografie, referti. Si parla di un caso di tumore, di polmonite, di diabete e non di un paziente affetto da tumore o polmonite o diabete. Nella realtà si parla sempre di malato ma si ragiona sempre di malattia come se il malato non esistesse. Insieme a lui rientrano le sue esperienze, il suo linguaggio, il suo modo di pensare la propria malattia, le sue convinzioni, le sue conoscenze, la sua cultura. Il malato, attraverso il linguaggio esprime i suoi vissuti, le sue esperienze, la sua malattia. Senza il linguaggio abbiamo l’organo e quindi la malattia, con il linguaggio abbiamo una persona quindi il malato.
L’importante è mantenere sempre il malato al centro di tutto per poter creare e mantenere un rapporto di fiducia. Una corretta ed efficace modalità di comunicazione si può insegnare ma empatia, rispetto, partecipazione, condivisione devono nascere dal cuore e poi, eventualmente, affinare con l’esperienza.
*Nefrologo – Coordinatore del Programma di Prevenzione del Rischio Cardiovascolare – Casa di Cura Villa Berica