di Maurizio Cerruti*
Anche se l’inaugurazione della Biennale Arte sarà l’11 maggio prossimo già ora tutta Venezia è un cantiere per la preparazione di questo evento di richiamo internazionale che muove attorno a sé una miriade di altre iniziative collegate direttamente o indirettamente.
VERO E FALSO. Ciò che crediamo sia Realtà diventa Realtà. Ciò che crediamo sia Arte diventa Arte. E l’Arte consente di dare un senso alla Realtà anche se non ne ha. Può essere questa la chiave segreta dell’enigmatico titolo della Biennale Arte “May You Live In Interesting Times”, ovvero “che tu possa vivere in tempi interessanti”. Frase che suona come una drammatica profezia o come una maledizione. A pensarci, infatti, è meglio stare alla larga dai tempi che quanto più sono vivaci e stimolanti – interessanti, appunto – tanto più sono inquieti e insidiosi. La 58ma edizione della più grande e autorevole fra le rassegne mondiali di arte contemporanea (dall’11 maggio al 24 novembre 2019) prende a prestito il titolo da questo detto che è comunemente considerato un distillato dell’antica e sottile saggezza orientale. Ma lo fa ben sapendo che si tratta di un falso anatema cinese. Di una “fake news”. Di un Falso che diventa Vero solo perché ci crediamo.
90 ANNI DOPO. A rendere famosa questa espressione così fortunata da avere una diffusione virale su scala globale attraverso le generazioni, fu involontariamente il parlamentare britannico Joseph Austen Chamberlain fratellastro del più noto Nevillle Chamberlain, il premier britannico dell’Appeasement, lo sciagurato tentativo pre-bellico di scendere a patti con Hitler. Sir Austen, in un discorso, citò appunto “l’anatema cinese” per sottolineare la drammatica precarietà degli anni Trenta del Novecento. Oggi che novant’anni dopo, tocca anche a noi pensare di vivere tempi “interessanti” – drammatici e precari – l’espressione utilizzata come titolo ironico della Mostra veneziana – sottolinea il curatore Ralph Rugoff, direttore della Hayward Gallery di Londra – riflette l’intenzione di presentare artisti che “mettono in discussione l’esistente”, che osservano “la realtà da più punti di vista” e che “cercano l’interconnessione fra fenomeni diversi”. In sostanza, dunque, l’arte vista come strumento per osservare la realtà da punti di vista differenti, contraddittori, relativi.
QUI C’E’ IL MONDO. Fra l’ottantina di artisti invitati troviamo il mondo: l’Africa dal Kenya alla Nigeria, dall’Etiopia al Sudafrica; l’Asia dalla Cina alla Turchia, dall’Iran alla Giordania, dalla Corea al Giappone, dall’India al Vietnam, da Israele alla Palestina; l’America dagli Usa al Messico, dall’Argentina all’Uruguay; l’Europa dall’Ucraina all’Albania, dalla Polonia alla Francia, dalla Norvegia alla Svizzera, senza trascurare ovviamente alcune presenze di artisti italiani residenti in patria o all’estero.
I padiglioni nazionali sono quest’anno saliti a novanta con quattro nuovi ingressi: Algeria, Ghana, Madagascar e Pakistan. Superano la ventina gli eventi collaterali sparsi in palazzi, magazzini, ex chiese, musei e altre location di Venezia, spesso con ingresso gratuito; eventi che arricchiscono di novità la Biennale ufficiale e a volte consentono la partecipazione di identità nazionali politicamente “interessanti” per gli Stati di riferimento, come la Scozia e il Galles, la Catalogna, Taiwan . Dai titoli dei padiglioni nazionali riecheggia la complessità del mondo in cui oggi viviamo: ambientalismo, guerre, patrie, migrazioni, umanità, cosmo, tempo, memoria, immagine, presenza.
DURHAM L’INDIANO. Il tradizionale premio alla carriera – il prestigioso Leone d’Oro – di quest’anno sarà consegnato a Jimmie Durham, 78enne artista, performer, saggista e poeta che ha partecipato a cinque passate edizioni della Biennale Arte. Durham, attivo come artista dal 1965 (anno in cui iscrisse all’università di Austin, Texas) fin da giovane ha affermato di avere sangue Cherokee e di essere dell’Arkansas, però secondo varie fonti sarebbe nato il 10 luglio 1944 a Houston, in Texas. Le comunità di nativi americani hanno peraltro negato formalmente la sua appartenenza alle tribù “indiane”. L’artista è presente con le sue opere in molti musei di tutto il mondo e a lui sono state dedicati importanti retrospettive e premi internazionali. Attivista per i diritti degli afroamericani e dei nativi americani, Durham è noto soprattutto per le sculture con materiali naturali e con comuni oggetti quotidiani, ma lavora anche con il disegno, il collage, il video e la fotografia.
CRITICA AL RAZIONALISMO. La sua opera è sostanzialmente una critica del razionalismo occidentale, una denuncia della futilità della violenza e dell’oppressione etnica. Un messaggio impegnato che però è anche leggero, commovente. “L’empatia – ha detto – fa parte dell’immaginazione e l’immaginazione è il motore dell’intelligenza”. La consegna del Leone d’Oro avverrà a Ca’ Giustinian (sede della Biennale) in una cerimonia – ingresso su invito – l’11 maggio, giorno dell’apertura della Mostra. Nella strssa occasione saranno consegnati altri Leoni d’oro e d’argento e varie menzioni speciali, decisi da una giuria composta da Stephanie Rosenthal (Gropius Bau di Berlino), Defne Ayas (V-A-C Foundation, Mosca), Cristiana Collu (Gal. Naz. Arte Moderna e Contemporanea, Roma), Sunjung Kim (Gwangiu Biennale Found. Seul), Hamza Walker (Laxart Los Angeles).
LA VISITA alle due sedi principali – Giardini della Biennale e l’Arsenale – che sono collegate fra loro da un servizio navetta gratuito (o da una passeggiata di dieci minuti nel sestiere di Castello) richiede tempo e resistenza fisica. Se l’impegno è di una sola giornata (c’è però un biglietto “plus” da 35 euro che consente di vedere per tre giorni ciascuna delle due sedi espositive) è consigliabile dedicare la mattinata ai Giardini e il pomeriggio all’Arsenale o viceversa. All’interno troverete numerosi bar, tavole calde, servizi di ristoro e angoli dove riposare durante l’itinerario.
L’INGRESSO dall’11 maggio al 24 novembre (chiuso di lunedì eccetto il 13 maggio, il 2 settembre e il 18 novembre) dalle ore 10 alle 17,45. Per il solo Arsenale, tutti i venerdì e i sabati dall’apertura fino al 5 ottobre i cancelli chiudono alle 19.45.
I BIGLIETTI ordinari giornalieri costano 22 euro; prenotazioni e riduzioni per singoli, gruppi, scolaresche e altre facilitazioni si trovano sul sito www.labiennale.org.
JEAN ARP DA PEGGY. Jean (Hans) Arp, artista tedesco d’Alsazia (1886-1966), la regione di confine in passato contesa tra Germania e Francia, è stato uno dei fondatori del movimento dadaista, e in seguito ha avuto sempre un posto speciale nella collezione di Peggy Guggenheim. Nel 1933, la ricchissima e irrequieta americana che fu amica, moglie, amante dell’arte e di artisti d’avanguardia – del genere “siamo poveri ma saremo famosi” – a 35 anni aveva già vissuto una vita da romanzo (ma il meglio e il peggio per lei dovevano ancora arrivare). Fu in quell’anno che Peggy inaugurò proprio con una scultura di Arp quella che sarebbe diventata nei decenni successivi la fantastica collezione che oggi richiama quasi mezzo milione di visitatori ogni anno nella casa-museo di Ca’ dei Leoni sul Canal Grande. Lei stessa nella propria autobiografia ricorda il colpo di fulmine per quel bronzo di Arp, che l’artista le mostrò in fonderia, appena realizzato: “Chiesi di poterlo tenere tra le mani: nello stesso istante in cui lo sentii volli che diventasse mio”.
NATURA AMICA. Ad Arp è appunto dedicata la mostra primavera-estate 2019 della Guggenheim dal 13 aprile al 2 settembre, intitolata “La natura di Arp”, curata da Catherine Craft, realizzata in collaborazione con il Nasher Sculpture Center di Dallas. Curiosamente, come per Peggy, anche la vocazione al collezionismo d’arte contemporanea dei Nasher – Raymond banchiere e immobiliarista texano (1921-2007) e la moglie Patsy (1928-1988) – si materializzò nel 1967 con l’acquisto di una scultura di Arp del 1961; fu l’avvio di una fra le più importanti collezioni americane di arte contemporanea. In mostra a Venezia ci sono una settantina di opere di Arp che coprono l’arco di sessant’anni della sua produzione. Ci sono diverse opere realizzate da e con la moglie Sophie Taeuber, eclettica artista e designer svizzera (1889-1943) mentre altre opere sono di artisti amici e che collaborarono con Arp, tra i quali Max Ernst, Jean Hélion, Kurt Schwitters, Theo van Doesburg.
IL PROFUGO. La mostra presenta le diverse tecniche usate e sperimentate da Arp: disegni, collages, stampe, tessuti, rilievi dipinti, sculture in legno, gesso, bronzo. Arp era un pioniere dell’astrazione. Pacifista e antimiltarista nei anni più bui del Novecento, quelli tra il 1914 e il 1945, si rifugiò in Svizzera da giovane per evitare l’arruolamento nell’esercito del Kaiser, poi fu costretto di nuovo alla fuga dalla Francia invasa dalle truppe naziste. La sua arte guarda alla Natura come all’antidoto all’arroganza e alla ferocia umana, sulle quali l’artista riflette con un sottile humor che, dietro l’assurdo, nasconde l’amarezza. Le sue forme organiche e curvilinee, che si muovono con fluidità tra astrazione e rappresentazione, sono diventate universalmente note e riconoscibili: sono diventate un punto fermo, un modello di riferimento per generazioni di artisti.
INFO. “La natura di Arp “dal 13 aprile al 2 settembre 2019 presso la Collezione Peggy Guggenheim a Venezia. ORARIO dalle 10 alle 18 (chiuso il martedì). VISITE guidate gratuite tutti i giorni alle 15.30 (non è richiesta prenotazione). BIGLIETTI validi per le collezioni permanenti e le mostre in corso: 15 euro; seniors (+65 anni) 13 euro; studenti (entro 26 anni) 9 euro; bambini (0-10 anni) e soci ingr. gratuito. info@guggenheim-venice.it / www.guggenheim-venice.it / Tel. 041 2405 440 /419.
*Giornalista