di Franco Secchieri*
Era da poco terminato l’inverno 2018-2019 quando scrivevo su queste pagine che la stagione appena passata (specialmente riguardo al mese di Febbraio) era stata una delle più calde e secche degli ultimi anni, in questo confortato anche dalle statistiche dell’ARPA del Veneto.
Adesso, Maggio 2019 eccoci di fronte ad eventi meteorologici che fanno di già considerare questa primavera – almeno fino ad ora – una delle stagioni più fredde e nevose della storia. Davanti a situazioni così contrastanti non possono mancare considerazioni più o meno scientifiche e di carattere opposto, specialmente sul tema del riscaldamento globale e sulle sue cause.
Non vi è dubbio che le bizzarrie dell’atmosfera, alimentate, propagandate e amplificate da un travolgente sensazionalismo mediatico, provocano un crescente allarmismo della gente, giustamente preoccupata dalle sempre più accentuate anomalie degli eventi meteorologici, nonché la loro polarizzazione con caratteri soprattutto di eccezionalità.
Allargando poi lo scenario agli ultimi otto mesi, cioè alle ultime tre stagioni, non possiamo tralasciare i disastri combinati sulle nostre montagne dalla tempesta Vaia alla fine di Ottobre del 2018, con l’ecatombe di alberi dalle Prealpi alle Dolomiti e le imponenti frane abbattutesi un poco ovunque.
Quello che pare preoccupare maggiormente è la crescita in maniera esponenziale di episodi, seppure di diverso aspetto, che stanno configurando l’innegabile la fase di modifica del clima e che concorrono a fare orientare l’opinione pubblica sempre più verso uno scenario di un futuro catastrofico per il nostro pianeta.
Vero è che il clima (attenzione a non confonderlo con gli eventi meteorologici che sono altra cosa) è sempre mutato nel tempo, anche se non siamo certi che nel passato ciò sia avvenuto con una velocità paragonabile a quella attuale. Leggendo la sua storia, passata e recente, si possono ricordare ambienti e paesaggio ben diversi da quelli attuali. Senza andare nel lontano passato dell’Era quaternaria e relative glaciazioni, possiamo partire da circa 12.000 anni or sono quando le Alpi erano sommerse da una coltre glaciale dello spessore anche di migliaia di metri, dalla quale scendevano le lingue di grandi ghiacciai che riempivano le valli fino a raggiungere la pianura, Le testimonianze delle dimensioni di questo fenomeno globale sono scolpite nelle forme del paesaggio come, ad esempio, le colline moreniche tra Verona e il lago di Garda create dalla fronte di quel grande ghiacciaio. A quel tempo il livello del mare era circa 120 metri più basso di quello attuale e disegnava la sua linea di costa all’altezza della attuale città di Ancona. Con la deglaciazione il mare è tornato alle quote attuali (si è innalzato di 120 metri) e fa quindi un po’ sorridere il confronto col paventato aumento del livello del mare di quasi un metro per la fine del secolo. Anche se naturalmente le tempistiche sono ben diverse.
Successivamente le cose sono andate ben diversamente e nel così detto “optimum climatico”, attorno ai 6.000 anni or sono, le temperature medie erano verosimilmente più elevate delle attuali, così come anche nel periodo medievale, tra il IX e il XIII° secolo, quando pare che addirittura non ci fosse il ghiacciaio della Marmolada. Dopo di che arrivarono tre secoli di freddo, con consistenti avanzate dei ghiacciai alpini che durò fino a circa metà del XIX secolo, con temperature così basse da far si che quel periodo venga ora identificato col temine di “piccola età glaciale”.
Senza volere entrare nella polemica della così detta “hockey stick” (mazza da golf – nome tratto dalla forma del grafico dell’andamento delle temperature) che vede da una parte i sostenitori dell’effetto serra di origine antropica e dall’altra i contrari, l’anomalia termica verso la quale stiamo andando velocemente, può sicuramente sorprenderci, anche se ritengo opportuno usare un poca di cautela prima di pronosticare la fine del mondo tra pochi anni.
Tornando alle ultime anomalie meteoclimatiche e, per quello che più direttamente ci interessa, alle recenti intense nevicate di questo inizio Maggio 2019, bisogna ammettere che il paventato rischio di una crisi idrica estiva sembra, almeno per ora, scongiurato. Ma, in ossequio al proverbio che “non è tutto oro quello che luccica”, vale la pena di sottolineare che questa neve di Maggio, anche se abbondante, non è dal punto di vista delle caratteristiche fisiche, simile a quella autunnale e invernale perché non ha avuto il tempo di subire quei processi di trasformazione tali da renderla più compatta, con una maggiore densità, e quindi in grado di resistere maggiormente alla penetrazione delle onde termiche, con una minore facilità di fusione.
In poche parole la neve primaverile si scioglie con maggiore rapidità anche a quote elevate rispetto alla neve più vecchia: un fatto questo che potrebbe provocare qualche problema di piena per i torrenti nel caso in cui alla fusione del manto nevoso si sovrapponessero piogge intense. Va comunque precisato che non poteva esserci toccasana migliore per i nostri ghiacciai.
A questo punto rimane da chiederci come sarà la prossima estate, calda e secca (ricordiamoci quella del 2003 !) oppure fredda e piovosa.
Purtroppo questa incertezza specialmente per quanto riguarda l’intensità dei fenomeni atmosferici crea anche problemi relativi ad una possibile prevenzione o eventuali rimedi. La carenza di acqua da una parte, o il suo eccesso dall’altra dovrebbero imporre scelte molto diverse, ma possibilmente compatibili tra loro. Ad esempio i bacini di laminazione potrebbero eliminare le onde di piena oppure funzionare come riserve di acqua.
A questo punto anche la politica dovrebbe essere chiamata a rispondere in maniera finalmente utile e costruttiva, anche perché quello che ancora possiamo fare per non morire di freddo oppure di caldo non può essere trascurato oppure lasciato in mano a qualche strano personaggio dell’ultimo momento.
Foto :
- Il gruppo della Marmolada eccezionalmente innevato anche a primavera inoltrata.
- Ciò che rimane del Ghiacciaio principale della Marmolada (rilevo Agosto 2018)
- Una immagine drammatica dei boschi distrutti dal ciclone Vaia sull’altipiano di Asiago
(tutte le immagini sono dell’autore)