di Nicoletta Canazza*
L’acquazzone improvviso aveva lavato la polvere dal cortile. In casa, i bambini avevano aspettato da dietro le finestre, con i naso sui vetri, che smettesse di piovere. Non aveva ancora finito di gocciolare che erano schizzati fuori a misurare quando erano profonde le pozzanghere. A metà pomeriggio avevano già il disegno del fango fino alle ginocchia e schizzi sui calzoncini e sulle magliette, fino alle orecchie.
Angela si era fermata a quella davanti alla rimessa. All’inizio non la voleva nessuno. Poi Francesco aveva detto “è mia” e allora l’aveva voluta anche Marco, e si erano messi a litigare per chi l’aveva vista prima, chi era più grande e per chi aveva scelto i giochi il giorno prima e per chi aveva più fratelli, chi sputava più in là. Poi avevano visto Riccardino correre sotto agli alberi di mele che sgocciolavano facendo a gara con il cane del cortile ed erano corsi da quella parte. Gli strilli e le risate, il cane che abbaiava, si sentivano per tutto il campo.
Angela era rimasta vicino alla sua pozzanghera. Gli altri bambini ridevano, lei faceva barchette dentro l’acqua scura guardando sotto i meli se qualcuno veniva a chiamarla. Intanto suo padre era venuto e l’aveva mandata a giocare da un’altra parte. Aveva tirato fuori il trattore dalla rimessa ed era passato dentro la pozzanghera scavando nel fango con le tacche delle grandi ruote.
Poi era ripassato e ripassato con altri attrezzi e quando l’acqua aveva smesso di fare bolle e schiuma, la pozzanghera era diventata un paciugo profondo e torbido. Ma Angela era già andata a correre con gli altri bambini e non aveva visto niente. La notte era piovuto ancora, la terra si era bevuta tutta la pioggia e alla mattina i bambini del cortile avevano ricominciato a correre cercando pozze e girini. Tutti tranne Angela. La bambina era davanti alla rimessa che faceva barchette in una pozzanghera spettacolare, grande come un laghetto, che rifletteva le nuvole e faceva perfino le ondine. Quando se ne erano accorti, gli altri bambini avevano spalancato gli occhi.
“Giochiamo?”. “No, è mia la pozzanghera”, rispose Angela continuando a fare barchette di foglie. “Non è tua, è piovuto, la pioggia è di tutti”, replicò Francesco. Angela lo guardò con sufficienza: “Ieri non la volevi”. “E adesso la voglio”. “Cercatene una da un’altra parte”, “ma questa è la più bella di tutte…”. Lei strizzò gli occhi. “La pozzanghera l’ha fatta il mio papà con il trattore. È mia. E ci gioco solo io”. “E io ci metto i piedi lo stesso”, “e io dico di no”, “e io di sì…”. E si erano formate due fazioni, con bambini di diverse altezze da ognuna delle due parti, tutti sotto il metro, a fare chiasso. Martina si arrotolava la maglietta: “Mi scappa la pipì”.
“È mia la pozzanghera”, “No che non lo è”.
“Bambini… la merenda”, chiamò una voce da casa.
I bambini corsero via tutti insieme. Angela ci pensò un attimo.
“È mia anche dopo…”
*Giornalista – Scrittrice