di Stefano Chiaramonte*
Le malattie cardiovascolari costituiscono la principale causa di morbilità e mortalità nella popolazione. Possono manifestarsi come:
- Malattia coronarica constenosi coronarica, angina pectoris, infarto, scompenso e morte cardiaca
- Malattia cerebrovascolare con stenosi carotidea, ischemia transitoria, ictus ischemico o emorragico
- Arteriopatia periferica con claudicatio, ulcere e gangrene degli arti inferiori, dolori alla deambulazione
- Malattia dell’aorta e dei grossi vasi con aneurisma dell’aorta, ischemia ed infarto intestinale, insufficienza renale
Dal momento che oltre la metà dei soggetti sani all’età di trent’anni può sviluppare una patologia cardiovascolare nel corso della vita appare evidente che il problema non è di secondaria importanza.
Sono stati identificati numerosi fattori di rischio cioè condizioni che aumentano la probabilità di ammalare di patologia cardiovascolare.
Alcuni di questi fattori non sono modificabili (età, sesso, familiarità, storia pregressa.) L’età, da sola, non può essere considerata una malattia, ma ogni decade di vita determina circa un raddoppio del rischio di sviluppare una patologia cardiovascolare ed il sesso maschile comporta un aumento del 20% del rischio.
Altri fattori, derivanti da abitudini e stili di vita, fattori ambientali o biologici, sono modificabili, in misura parziale o completa, mediante opportune correzioni dell’alimentazione e dello stile di vita ed appropriata terapia medica.
Fattori di rischio cardiovascolare
Non modificabili | Modificabili |
Età
Sesso Familiarità Storia pregressa |
Fumo
Ipertensione Dislipidemia Diabete Sovrappeso ed obesità Sedentarietà Scarso consumo di frutta e verdura Infiammazione Consumo di alcool Fattori psico – sociali |
Oltre il 90% degli eventi patologici avviene in pazienti con almeno un fattore di rischio. L’effetto aumenta in maniera esponenziale quando sono presenti contemporaneamente più fattori. I cinque elementi principali (dislipidemia, diabete, ipertensione, obesità e fumo) sono i più frequenti e sono responsabili di oltre la metà della mortalità cardiovascolare ma questo non significa che gli altri giochino un ruolo minore.
In particolare, il fattore di rischio infiammazione risulta essere un elemento di primaria importanza anche se poco considerato. Uno stato infiammatorio può essere indotto da numerose condizioni che decorrono cronicamente, indipendentemente dall’entità della sintomatologia clinica: infezioni latenti, patologie cutanee, malattie autoimmuni, accumulo di grasso viscerale. In tutte queste situazioni si generano mediatori bioumorali che esplicano effetti dannosi su varie strutture dell’organismo. L’importanza dell’effetto è determinata non dall’entità della causa ma dalla sua lunga durata d’azione.
La parodontite è una malattia infiammatoria cronica delle gengive derivante da un’infezione opportunistica del biofilm della placca endogena che innesca il rilascio cronico di mediatori dell’infiammazione, come le citochine, le prostaglandine e gli enzimi prodotti dai neutrofili e dai monociti. Questi fattori concorrono a generare sia le manifestazioni infiammatorie locali sia una condizione di infiammazione sistemica.
Le placche sono causate da germi patogeni della stessa famiglia dei batteri normalmente presenti nella cavità orale. La progressione e le caratteristiche cliniche della malattia sono influenzate da fattori genetici ed acquisiti che possono modificare la suscettibilità all’infezione. Altri fattori di rischio che concomitano ed influenzano l’andamento della parodontite sono l’obesità, il diabete, il fumo ed alcune malattie sistemiche di tipo ematologico o genetico.
Oggi è possibile, mediante tecniche di biologia molecolare, identificare i patogeni che più specificamente causano le parodontiti quali Actinobacillus actinomycetemcomitans, Prevotella intermedia e Porphyromonas gingivalis ed altri meno frequenti.
In affiancamento al test microbiologico è inoltre possibile studiare la predisposizione genetica a sviluppare periodontite o periimplantite (che comporta rischio di perdita di un impianto dentale)
E’ stata recentemente descritta la possibile associazione fra severità di malattia periodontale ed un particolare polimorfismo del gene che governa la sintesi di IL-1. Questa citochina ha proprietà proinfiammatorie e stimola gli osteoclasti, le cellule del riassorbimento osseo, fra cui l’osso che funge da supporto ai denti. I soggetti che presentano questa mutazione del DNA possono avere una risposta immunitaria eccessiva cui consegue un maggior rischio di sviluppare periodontite o aggravare patologie già manifeste.
Queste moderne indagini diagnostiche, oltre ad offrire all’Odontostomatologo strumenti più accurati per trattare i pazienti, riclassificano a pieno titolo questa patologia infiammatoria nell’ambito dei fattori di rischio cardiovascolare.
Il coinvolgimento attivo dei pazienti affetti da parodontite nei protocolli di prevenzione del rischio cardiovascolare appare pertanto ampiamente giustificato al pari dei soggetti con dislipidemia, diabete, ipertensione, sovrappeso ed obesità.
In questo momento le maggiori attenzioni sono rivolte alla diagnosi e cura della malattia cardiovascolare conclamata ed ormai irreversibile mentre sarebbe molto più opportuno, utile, economico, vantaggioso dedicare particolare attenzione alla fase di prevenzione.
* Nefrologo – Coordinatore del Programma di Prevenzione del Rischio Cardiovascolare – Villa Berica, Vicenza