di Nelli-Elena Vanzan Marchini*
Nel Cadore, nei pressi di Calalzo, in una località chiamata Làgole a 730 metri di altezza si trova un bosco ameno in cui scaturiscono delle acque che i paleoveneti ritenevano terapeutiche. Dal VI secolo avanti Cristo avevano risalito il Piave e si erano insediati in quelle valli scoprendo le qualità sananti di queste polle sorgive ricche di bicarbonati e solfuri che danno loro un inconfondibile odore e creano dei laghetti da cui deriva il nome Lagole.
Le analisi chimiche dei laboratori del Novecento hanno rilevato che, se bevute alla fonte, le acque di Làgole hanno potere digestivo e lassativo perché contengono bicarbonati e magnesio. Soltanto la loro assunzione in loco ne garantisce l’efficacia perché il contatto prolungato con l’aria può far precipitare calcio e ferro. L’uso esterno è indicato per la cicatrizzazione delle ferite, per il trattamento di ematomi e di alcune malattie della pelle. Bagni e fanghi possono giovare anche a certe patologie ossee e muscolari.
A fine Ottocento lo studioso Venanzio Donà ipotizzò che i soldati romani avessero utilizzato quelle acque ripristinando strutture termali preesistenti. La conferma di questa ipotesi si concretizzò nel 1914 quando, per porre le fondazioni di un fabbricato, si scoprì una cisterna di sette metri di diametro. I successivi scavi archeologici e i numerosi ritrovamenti confermarono l’ipotesi dell’esistenza di un antichissimo Asclepeion, santuario all’aperto dedicato al dio di quelle acque sananti, certamente attivo fra il IV secolo avanti Cristo e il IV secolo dopo Cristo.
In epoca preromana i Paleoveneti vi avevano radicato il culto di TRIMUSJATE SAINATI ( Tripusiate sanante) come dimostrano le numerose iscrizioni votive e le lamine bronzee decorate a sbalzo con figure geometriche o con animali, spesso cavalli nel cui allevamento i Veneti eccellevano. Statuette itifalliche e corna di montone e di cervo, che rappresentavano la potenza di generare, indicavano la ricerca della capacità fecondatrice e della fertilità. La divinità era tricipite ed è ipotizzabile l’analogia con Triposopos, dio taumaturgo greco con tre facce che rappresentavano la triplex potestas nascendi, valendi et moriendi (il potere di far nascere, vivere in salute e morire). I devoti donavano spade, elmi e lance spezzandoli affinché l’offerta non potesse essere infranta dal loro riutilizzo. La pratica rituale dell’aspersione e dell’assunzione delle acque è testimoniata dai simpula, mestoli sul cui lungo manico erano incise frasi propiziatorie, con essi si attingeva l’acqua sorgiva e, dopo averla bevuta e cosparso le parti malate, venivano spezzati siglando in maniera definitiva e radicale l’offerta votiva a Trimusjate. I molti pezzi di simpula, che hanno consentito di ricostruire questo rito arcaico, sono conservati al Museo archeologico di Pieve di Cadore.
Lagole era un crocevia importante per il passaggio delle truppe, per i traffici e la transumanza perciò il santuario divenne un centro religioso anche per i vicini popoli Celtici. Numerose statuette votive testimoniano pratiche devozionali per ottenere la forza di combattere e di vincere. Quando i Romani conquistarono il Veneto nel I secolo a.C., il santuario di Trimusjarte fu mantenuto, ma venne dedicato ad Apollo il dio taumaturgo della cultura latina. Il ritrovamento di statuette che lo raffigurano testimoniano questo avvicendamento e la presenza di altre raffiguranti Ercole munito di pelle di leone e di clava sancisce anche il mito guerriero della possanza fisica che si sperava di ottenere con le pratiche termali. L’ipotesi che si facessero anche delle offerte sacrificali per propiziarsi la pastorizia e l’allevamento del bestiame è confermata dal ritrovamento nell’area di ossa di animali e di numerosi tintinnabula, cioè di campanelle che venivano legate al collo degli ovini e bovini condotti all’alpeggio in estate.
Gli scavi e la ricerca storica hanno aiutato a ricostruire le antiche pratiche religiose, ma è soprattutto il luogo, con le sue fonti, il bosco, i fiori, la luce, il suono delle cadute d’acqua, che riesce a far percepire appieno la sua sacralità. Ancora oggi gli abitanti si immergono nelle piscine naturali alimentate dalle polle sorgive. In questo contesto silvestre si comprende perché per circa mille anni il santuario di Làgole abbia attratto fedeli di ogni ceto e condizione fino a quando il Cristianesimo ha voluto cancellare il culto pagano delle acque sananti demolendone ogni vestigia. Anche le “anguane” o “longane”, divinità acquatiche femminili dai piedi a forma di zampe di capra, vennero condannate ad assumere una valenza diabolica. La tradizione popolare le descriveva come donne bellissime dai lunghi capelli e i seni scoperti con un aspetto simile a quello delle naiadi e nereidi della tradizione classica. Le anguane abitavano boschi e corsi d’acqua e avevano il potere di prevedere gli eventi atmosferici interagendo positivamente con gli uomini. Nel Medioevo vennero associate all’oscurità delle grotte e assimilate a streghe malvagie, il monoteismo cristiano perseguì come eretica ogni presenza del sacro nella natura. Per secoli la memoria del santuario di Làgole venne rimossa e soltanto nel Novecento la ricerca storica e archelogica hanno consentito di ricostruire il culto delle sue antiche e benefiche fonti.
La sacralità del bosco dove fioriscono i ciclamini e la suggestione delle sorgenti che alimentano il vicino lago di Calalzo fanno immaginare la grandiosità dell’antico santuario dedicato alla divinità delle acque sananti. Da Lavoisier in poi la cura con le acque è passata dal mistero alla scienza e dal culto all’idroterapia, ma certamente a Làgole si continua a percepire l’arcaico senso del ritrovato rapporto magico fra il corpo e la natura, fra il Cadore e le sue fonti.
Per approfondimenti rinvio a :
Alle fonti del piacere. La civiltà termale e balneare fra cura e svago, a cura di N.E. Vanzan Marchini, Milano, Leonado Arte 1999.
G.B. Pellegrini, Il museo Arheologico Cadorino e il Cadore Preromano e Romano, Pieve di Cadore 1991.
* Docente – Scrittrice