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Antibiotici, la corsa contro la “resistenza”

Il problema emergente della resistenza batterica agli antibiotici è stato il tema dominante di un Convegno su “Infezioni Ospedaliere e resistenza ali antibiotici. Situazione attuale e scenari futuri” organizzato a Padova da Motore Sanità con l’obiettivo di far emergere le criticità gestionali comuni e condividere le best practices tra le Regioni, per individuare soluzioni pratiche che rendano i modelli organizzativi facilmente realizzabili, sostenibili ed efficienti.

Fra i partecipanti la Dott.ssa Anna Maria Cattelan, Direttore dell’UOC di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliera di Padova, il Dott Claudio Zanon, Direttore Scientifico di Motore Sanità, il Dott Marco Falcone dell’UO di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliera di Pisa ed altri Esperti provenienti da Regioni come Lombardia, Piemonte, Lazio, Emilia che, per peculiarità ed esperienze organizzative, rappresentano eccellenze nazionali.

L’isolamento di batteri sempre più resistenti ai comuni antibiotici sta diventando un’emergenza soprattutto nei grandi Ospedali, i cosiddetti Centri HUB, dove si concentrano i pazienti più impegnativi, defedati, spesso affetti da pluripatologie, sottoposti a procedure complesse che comportano lunghi tempi di degenza, in particolare in reparti di Rianimazione. Questi pazienti spesso provengono da altre strutture e prima di approdare nei Centri di Riferimento, sono stati trattati per periodi prolungati con terapia antibiotica”.

Il problema ha implicazioni ben più ampie. L’Italia risulta al primo posto per consumo globale di antibiotici negli animali da allevamento ed al secondo posto per consumo negli umani. Questo impone una riflessione sulla necessità di una più efficace regolamentazione delle politiche zootecniche e contemporaneamente l’adozione di rigide misure procedurali nella gestione dei pazienti. Nel corso del Convegno è stata ribadita la necessità di una maggior aderenza, ai protocolli di impiego della terapia antibiotica per quanto riguarda durata, dosi ed indicazioni. Di fatto, stiamo esaurendo le armi a nostra disposizione a causa del loro cattivo uso.

La tecnologia potrebbe venire in aiuto. Oggi sono disponibili tecniche diagnostiche di microbiologia molecolare che consentono di identificare in tempi rapidissimi e con estrema precisione i ceppi batterici che colonizzano i pazienti. Una diagnosi precoce potrebbe permettere di iniziare tempestivamente un trattamento mirato ottimizzando scelte, dosi e durata. Il costo di uno Spettrometro di massa è molto elevato. La fornitura di una di queste sofisticate ma costose apparecchiature in ogni Ospedale non appare giustificata. Sarebbe più che sufficiente riservarle agli Ospedali Centri di Riferimento per avere comunque una ricaduta efficace.

Il discorso finisce per cadere sempre sul tema della prevenzione. Il Italia non si avverte concretamente un impegno in tal senso.  Nasce spontanea la domanda: le difficoltà sono un problema di scarsità di risorse o di volontà politica?

Da più parti si rileva che, in Italia, i piani sanitari sono largamente sottofinanziati rispetto alle necessità. Va detto che, negli ultimi anni, abbiamo avuto un’importante instabilità politica che ha determinato l’alternarsi, al governo, di forze politiche con orientamenti e programmi talvolta contrastanti. In queste condizioni la necessità di mediare fra posizioni divergenti rende le scelte certamente più difficili. Per un’equa attribuzione delle responsabilità bisogna poi ricordare che, nel Patto Stato/Regioni, è concordato che il 5% della spesa sanitaria di ogni regione venga destinato a programmi di prevenzione. Purtroppo, solo una Regione è in regola, tutte le altre sono inadempienti.

In tempi di vacche magre, ogni analisi costi/benefici dimostra che un programma di prevenzione, in qualsiasi campo (ipertensione e malattie cardiovascolari, disturbi alimentari, diabete, ecc) risulta sempre più vantaggioso rispetto alla gestione della problematica in oggetto. L’esempio dell’epidemia di influenza che si ripresenta puntuale ogni autunno è emblematico.  La vaccinazione antinfluenzale per le categorie a rischio avrebbe un costo molto limitato a fronte all’ingente impegno di risorse (ricoveri, farmaci, assistenza, ecc) oltre alla riduzione di mortalità e morbilità ma, mentre le infezioni batteriche e le resistenze agli antibiotici fanno emergere criticità gestionali e tecniche, il tema delle vaccinazioni mostra un rovescio della medaglia che potremmo definire paradossale. Le indagini epidemiologiche documentano che la percentuale di non vaccinati fra gli operatori sanitari degli ospedali, Medici ed Infermieri, è molto alta, troppo alta. Questo è un problema culturale con motivazioni complesse: ignavia, indolenza, sottostima del problema, minore attitudine a condividere i programmi di politica sanitaria. Certamente questo rende meno credibile il messaggio di prevenzione vaccinale e ne compromette il successo e quindi la diffusione.

Quando le Regioni che rappresentano eccellenze nazionali mettono in comune le proprie esperienze per rendere i modelli organizzativi più facilmente realizzabili, sostenibili ed efficienti i risultati non possono essere che positivi ma anche questo non basta se non è integrato dalla partecipazione attiva e consapevole di tutta la popolazione. Ce la possiamo fare.


Stefano Chiaramonte

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