120 e lode è il titolo, ben riuscito, dell’ultimo romanzo di Alessandro Dall’Oro, medico di Portogruaro e scrittore a tempo… guadagnato. Gli introiti ricavati dalla vendita di questo agile racconto andranno al CUAMM. Nel periodo in cui Dall’Oro e i suoi allegri compagni studiavano (chi più chi meno), e nel frattempo passavano dalla gioventù alla maturità, risiedevano in questo collegio nel centro di Padova. Non era il CUAMM di adesso: si trattava di una realtà di dimensioni più modeste, ma già aveva la peculiarità di accogliere sia studenti italiani sia altri provenienti dal Terzo Mondo (come si chiamava allora). Alcuni di loro avevano la vocazione di diventare medici missionari e taluni anche sacerdoti.
Nel leggerlo mi sono immediatamente immerso nel mondo descritto. Ho cercato di indovinare l’età dell’autore e il periodo in cui è ambientata questa storia non solo autobiografica. Mi sono reso conto di avere solo un lustro meno di lui, ma cinque anni, se ne hai solo quindici, rappresentano un’eternità. E questo tempo, che invecchiando sembra durare poco più di un battito di ciglia, alla fine degli anni Sessanta fu ancora più eterno del solito. Ho letto le descrizioni della vita universitaria come le percepivamo noi liceali del tempo e come me le raccontavano i miei genitori. In quegli anni si stava preparando una rivoluzione che avrebbe cambiato il mondo in generale e l’università in particolare. Il CUAMM, nato per formare medici nel periodo della decolonizzazione, era ancora una piccola realtà, espressione del cattolicesimo veneto, popolare e illuminato. Il direttore, don Luigi, viene descritto con ammirazione profonda e riservata delineando alla perfezione i tratti di alcuni sacerdoti di quell’epoca in cui la Chiesa veneta era tanto potente, ma ancora ispirata a solidi valori di solidarietà e aiuto.
Negli anni in cui Dall’Oro ha frequentato l’università sono cambiate molte cose nel Veneto. Quando il protagonista (Faba, ma di fatto l’autore) si è iscritto, dominavano ancora i principi e i valori di un mondo contadino, classista e religioso. Quando ne è uscito, il costume era completamente cambiato. La società s’era fatta più aperta, ma anche più violenta e soprattutto erano venuti meno alcuni valori di solidarietà sostituiti da quelli, altrettanto validi, ma diversi, di libertà e di eguaglianza. Noi liceali del tempo ci aspettavamo che la vita universitaria a cui eravamo destinati sarebbe stata simile a quella descritta da Dall’Oro con la goliardia gerarchizzata in matricole, fagioli, anziani. Si pensava che la vita severa (ma non troppo) di collegio e gli scherzi goliardici si sarebbero ripetuti in modo simile anche per noi. Invece ci trovammo in un mondo completamente diverso. Quindi, la descrizione delle avventure degli amici del CUAMM a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta è per noi un misto di nostalgia e critica. Comunque, l’epigono di una realtà che stava scomparendo. Gli studenti protagonisti del romanzo se ne rendevano solo in parte conto. Vivevano tuttavia le contraddizioni del periodo. L’autore ha il pregio di non entrare eccessivamente nella descrizione di questa condizione sociale, ma di farla emergere attraverso i racconti e gli aneddoti.
Sebbene il romanzo sia scritto in terza persona, l’autore non riesce a celare il fatto che si tratti di un’autobiografia. Ma l’opportuno espediente di non proporsi personalmente rende la scrittura e la lettura più leggera e distaccata. In più, il dottor Dall’Oro non cede alla tentazione di essere il protagonista, il carattere più evidente e affascinante del gruppo, ma ha il buon (l’ottimo) gusto di recitare la parte dell’osservatore, del giovane studente che partecipa attivamente e in profondità nelle relazioni del gruppo senza volere troppo apparire.
Anche da un punto di vista tecnico, la redazione del romanzo è ben strutturata. La storia eclatante di Bruno serve per dare forma e spunto alla serie di memorie e di episodi emersi da una gioventù passata in un ambiente socialmente stimolante in tempi di transizione. La curiosità suscitata dal personaggio di Bruno invita il lettore a proseguire fino alla fine del libro per vedere come va a finire. Senza Bruno, il romanzo si sarebbe ridotto a una serie di piacevoli memorie, ben scritte, ma nulla di più. Invece, l’autore è riuscito, con questo espediente da abile scrittore, a redigere un libro che riunisce i diversi fatti in un percorso di lettura strutturato.

Corrado Poli
Docente / Scrittore