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Autonomia, Zaia e Bertolissi: i Lep esistono Boccia li tiri fuori

“Il cammino sarà lungo, la strada impervia. Ma chi l’ha dura la vince”. Poche parole per analizzare la situazione e per fare capire che “finché ci sono io, non si arretrerà di un millimetro”. Una sintesi presa da due dei protagonisti super attivi sul tema dell’autonomia: il primo, Mario Bertolissi, ordinario di Diritto Costituzionale all’università di Padova, uno dei dieci tra prof e avvocati che fanno parte della cosiddetta Commissione trattante voluta dal secondo, Luca Zaia, governatore del Veneto e “padre” del progetto per una maggiore autonomia della Regione. Da quelle poche parole scaturisce la situazione della trattativa con lo Stato, che da 760 giorni vede ancora ai blocchi di partenza nei Palazzi romani il progetto per assegnare al Veneto le competenze su 23 materie, come previsto dalla Costituzione e come è stato richiesto da 2 milioni 328 elettori con il referendum dell’ottobre 2017.

L’occasione per fare il punto sullo stato dell’arte, deriva dall’uscita in libreria di “Autonomia, ragioni e prospettive”, sottotitolo “La riforma necessaria”, pubblicato da Marsilio e scritto proprio da Bertolissi. Se n’è parlato al Museo M9 di Mestre con l’autore, con Alberto Lucarelli e Guido Rivosecchi, entrambi colleghi di ateneo e di specializzazione di Bertolissi, e con Luca Zaia.

Bertolissi, perché ha scritto questo libro? ha sollecitato Rivosecchi. Il docente ha ricordato che il primo aprile scorso, in commissione Affari Regionali alla Camera, si è reso conto che la partita si giocava “uno contro tutti, come un tempo si faceva da bambini, con una porta sola. Quell’uno ero io”. Nel senso che l’iniziativa presa da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna “non stavano né in cielo, né in terra”. Da professionista di trentennale esperienza in materia “anche davanti alla Corte Costituzionale” e dalla “profonda convinzione che il valore dell’autonomia, del pluralismo, della responsabilità hanno un senso per le istituzioni… ho iniziato a scrivere”. Tre parole sulle quali il prof non ha mai cambiato idea, non ha mai avuto conversioni sulla via di Damasco, e nella sua elaborazione non si è concentrarsi sulle disposizioni costituzionali per fare chiose formali, “ma di mettere a frutto quanto imparato dai miei maestri”. I punti di partenza: qual è la salute della Repubblica? qual è lo sviluppo delle istituzioni?, quanto tempo abbiamo per cercare di invertire il trend, in caduta libero, del sistema in presenza di un aumento del debito pubblico. Il debito pubblico, tutt’altro che elemento estraneo “un macigno che aumenta dovunque”. Di qui, la convinzione che l’autonomia differenziata “non si può risolvere con questioni accademiche, con geometria istituzionali e costituzionali” è un mezzo per cercare di fare qualcosa per invertire il trend. In definitiva, secondo il docente, senza la spinta delle tre regioni, del Veneto soprattutto non si discuterebbe di autonomia e “non si sarebbe neppure affrontata la questione meridionale”. In questo senso, il referendum ha generato un rapporto diretto periferia-centro che al contrario si sarebbe ridotto ad dialogo tra enti che sono “persone giuridiche, che non rappresentano nulla, sono astrazioni”. E se qualcuno paragona il referendum veneto a quanto è accaduto e sta accadendo in Catalogna, allora fa orecchio da mercante perché “il Veneto è stato chiamato in Corte Costituzionale a spiegare le proprie motivazioni, ha rispettato il giudizio dell’Alta corte e sta facendo quanto consentito dalla stessa Corte”.

Cosa si posso aspettare i veneti dallo svolgersi del dibattito (scontro) con l’attuale governo giallo-rosso? “Noi siamo ancora fermi al quesito del referendum di due anni fa e ho l’impressione che a Roma se ne siano dimenticato”. Il punto è, secondo Zaia “se Roma vuole partecipare a scrivere questa pagina di storia oppure consegnare ad altri la pagina in bianco”. Questa, a parer suo, è una grande riforma e menziona il premio Nobel Friedman, che alla domanda “ha più bisogno uno che ha oppure uno che non ha” rispondeva “uno che ha avuto e non ha più” per sottolineare che è questo il contesto di una riforma perché “crea sempre inquietudine perché è un cambiamento, che genera preoccupazione di perdere qualcosa di quello che si ha”. Infatti, aggiunge il leghista, “abbiamo assistito a scene raccapriccianti di qualcuno del governo che girava l’Italia dicendo che la nostra è la secessione dei ricchi, che nel Paese non ci sarà più solidarietà e sussidiarietà”. E nessuna paura, in queste latitudini nessuno si dimenticherà dell’esito di quel referendum “perché il processo è scritto sulla pietra. Nel 1989 è caduto il Muro di Berlino quando nessun esperto di geopolitica ipotizzava quell’evento. Alla fine invece è successo il Big Bang e questo lo è, abbiamo iniziato un percorso che lascerà alle spalle il Medioevo e guardiamo al Rinascimento”. E sia chiaro, “questa non è una riforma per il Nord: in base alla Costituzione cinque regioni hanno già l’autonomia e oggi altre undici hanno intrapreso il nostro cammino… altro che riforma per il Nord”. E avverte: “Finché ci sono io non si indietreggerà di un millimetri”. Seguono ringraziamenti per l’intera Commissione e per Erika Stefani, presente in sala, per il lavoro che ha fatto durante la sua breve esperienza di governo alla guida del ministeri degli Affari Regionali, che ha costruito una base di lavoro per il progetto in presenza di “un governo latitante sull’autonomia” (il riferimento è all’esecutivo cosiddetto Conte 1).

Dopo la ripresa della trattativa tra Veneto e Stato con il nuovo governo, il neo ministro Boccia ha già incontrato Zaia mettendo le mani avanti quando ha dichiarato che per arrivare all’autonomia il percorso vedrà come attore principale il Parlamento attraverso una legge quadro, di fatto snaturando, a detta del Veneto, l’essenza del dettato costituzionale quando sancisce che qualunque regione può ottenere una maggiore autonomia a seguito di un accordo con lo Stato. In pratica, un “abito” cucito addosso al soggetto che lo richiede. La linea di Boccia, secondo la lettura fatta nella regione che ha svolto un referendum, tenderebbe ad allungare i tempi. Un riaccentramento economico-finanziario ad opera del legislatore che ha piegato la riforma costituzionale del 2001 con un’operazione di aggiramento.

A questo punto il problema è dare attuazione all’articolo 116 della Costituzione così com’è scritto attraverso intese bilaterali Stato singola Regione, oppure si arriva al traguardo attraverso una legge generale di attuazione della Carta come vorrebbe fare il governo attuando un neo accentramento? Entrambe le strade sono legittime ma in conflitto procedurale, con il pericolo che si perda altro tempo. E ancora, quanto costerà il trasferimento delle competenze dal centro alla periferia tenendo conto che negare i finanziamenti agli enti sub statali vorrebbe dire negare i diritti dei territori? Bertolissi non ha dubbi da pragmatico impenitente: “Sono un sostanzialista, le procedure sono importanti ma occorre capire che uso se ne fa”. Sintetizza: basta arrivare a Roma, capendo però se si condivide l’obiettivo o se qualcuno sta giocando in malafede. Ecco perché a suo dire la procedura è lo strumento per generare discussioni e per “cambiare tutto per cambiare nulla”. Quindi, la procedura non conta, ma se qualcuno insiste a dire che di autonomia deve occuparsene il Parlamento “con l’obiettivo di bloccare tutto, non perdo tempo a parlare di procedura e lascio nelle loro mani la Costituzione e facciano ciò che vogliono”. In più, “molti dicono che l’articolo 116 dice molto poco dimostrando che non hanno un’idea in testa poiché hanno solo bisogno di una legge che inizia anche senza sapere dove finisce, così si sentono autorevoli quando parlano in modo confuso”. Quindi, per Bertolissi la strada è indifferente, conta invece il contenuto. In base a questo principio “quando leggo proposte di riforma dell’autonomia cerco sempre tre parole: buon governo-buona amministrazione, responsabilità (evoca una funzione che interessa la collettività) al posto di competenza (potere), solidarietà che, nonostante quanto dicono i detrattori, è chiaramente presente nella bozza presentata dal Veneto“. Professore ha letto l’indicazione sulle procedure proposta dal ministro Boccia? “Confesso, sono stato un po’ in Giodania ho visto cose grandi, Mosè, Abramo…figuriamoci se mi facevo contaminare da una bozza di due articoli. Ora la leggerò e vedrò se all’interno è riportata almeno una parola tra buon governo-buona amministrazione, responsabilità e solidarietà, al contrario non ci siamo perché mancherebbe il vero propellente per il cambio di marcia”

Ultima annotazione, che è la prima, sui Lep, livelli essenziali di prestazione meglio conosciuti come Lea livelli essenziali di prestazione). Il ministro Boccia è stato chiaro: prima si individuano i Lep per tutte le materie oggetto di trasferimento e poi si procederà a discutere di autonomia. Zaia attacca: “Ho letto il disegno di legge cornice del ministro e la nostra commissione ne sta valutando la sostenibilità, dovremo dire la nostra in un incontro venerdì a Roma”. La strada della legge cornice stabilisce la necessità di fissare i Lep, ma ricorda il governatore, che la modifica della Costituzione del 2001 limita l’individuazione di quei parametri solamente per i diritti sociali e e civili, ma è pur vero che se introducendo il principio dell’obiettivo di servizio Boccia intende spalmare i Lep su tutte le materie da trasferire. Bene, dice Zaia “apprezziamo l’impegno, poi come Michelangelo toglieremo tutto il marmo in eccess oppure la cestineremoo e vedremo se ne uscirà la Pietà”. Quanto ai Lep “esistono già,. Si chiamano Lea e significa che in teoria i cittadini devono avere dati di cura e mortalità uguali in tutta Italia rispetto alla stessa patologia. Ovviamente non è così perché in alcune regioni si muore di più a parità di patologia. I conti vanno fatti bene, e se in alcune aree del Paese non tornano non bisogna dare più soldi, ma toglierli. Non vorrei che la partita dei Lep diventi un alibi”. Governatore, a chi si riferisce? “Nella bozza ricevuta da Boccia, è scritto che i Lep vanno calcolati entro 12 msi dalla firma con la singola regione. Vuol dire che per ogni regione si calcolano i Lep dopo la firma dell’intesa? Speriamo sia un errore”. I Lep sono pronti, avverte il governatore “si tirino fuori e si discuta”.


Giorgio Gasco

Giornalista

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