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In seconda fila. “Robin supereroe (o quasi) di Ghotam city

“Ti ricordi? Noi contro di loro. Era semplice. Una testa calda metteva in scena la sua fantasia criminale. E noi arrivavamo per dare una lezione. I bei vecchi tempi. Andati per sempre.»

Sì, lo so. All’inizio mi hanno vestito come un perfetto imbecille. Avevo addosso un costumino veramente indecente, con tanto di calzamaglia, e sembravo pronto per la festa di Halloween: “Dolcetto o scherzetto?” Quando Bruce, pardon Batman, mi ha adottato, avrò avuto al massimo 16 o 17 anni, non ricordo bene. Dopo la tragica morte dei miei genitori per mano di quel bastardo di Tony Zucco, ho passato molti mesi totalmente sotto shock.
Rivedo ancora mio padre e mia madre che volteggiavano senza rete durante spettacoli di acrobazia sul filo della morte, se avessero sbagliato anche un solo passaggio. Due fisici scultorei, perfetti quasi. Tutto muscoli e concentrazione, ma anche cervello. Un grande e avido lettore, papà, sempre alla ricerca di storie d’artisti sconosciuti e di resoconti d’epoca su suoi illustri predecessori, e una vera e propria infatuazione per Egdar Allan Poe, il suo scrittore preferito. Pensate che, da piccolo, per farmi addormentare mi recitava a memoria alcuni bravi dei romanzi e io, bambino curioso ma altrettanto impressionabile, mettevo la testa sotto le coperte lasciando appena appena la testa sporgere fuori mentre ascoltavo la voce profonda di John dei “Grayson volanti”.
Mary gli faceva da contraltare. Era una discreta suonatrice di violino con la passione per il jazz, mia mamma, tutta intenta a studiare le origini di un genere musicale che all’inizio non avevo capito e che, anzi, mi annoiava. Adesso, quando la sera ascolto i vinili della mia collezione comodamente disteso sul divano mi prende una malinconia così profonda che non posso fare a meno di far scivolare, lente e gonfie, le lacrime sul viso, schiacciato dai ricordi così vividi del vecchio soggiorno di casa mia, con la vaga tonalità color crema che la lampada a stelo faceva cadere attorno a sé. Le note delle corde di violino pizzicate delicatamente ancora mi risuonano nelle orecchie; ormai un canto triste di sirene lontane su una spiaggia che non ritroverò mai più.
Ho imparato tutto sul mio corpo e su quello che potevo chiedergli di fare nell’età in cui gli adolescenti corrono dietro alle ragazze o hanno difficoltà con le equazioni di primo grado. Io, invece, niente… L’importante era riuscire ad afferrare il trapezio che mio padre mi lanciava ed eseguire un doppio avvitamento senza sfracellarmi giù in basso, mentre ragionavo sull’interrogazione in geografia del giorno dopo. Probabilmente sarà stata l’adrenalina, che correva dappertutto in slanci di misurato vigore, tendendo i muscoli in torsioni del busto e delle gambe che dovevano essere perfette, a darmi la misura del mondo. Un mondo che è stato magico e affascinante. Guardavo mamma flettersi in posizioni impossibili con le sue geometrie armoniose e le sue piroette funamboliche, stretta ai polsi in un batter baleno dalla presa forte dell’uomo che aveva amato con tanta passione e che avrebbe amato ancora per molto, se il destino non se li fosse portati via troppo velocemente, saziando la voracità criminale di un balordo senza scrupoli.
Vita ben strana la mia, se ci pensate su. Non soltanto perennemente affiancato a Batman il Famoso, l’Uomo pipistrello dagli istinti primordiali, vendicatore mascherato che non teme di usare la violenza per drizzare il mondo. Ma anche il primo di una serie di “seconde file” di cui ho piantato il seme. Quindi se posso attribuirmi un primato è quello di essere il capostipite degli eterni numeri due, per quanto di un certo valore. Io, dunque, il Ragazzo meraviglia su cui Bruce Wayne/Batman conta per adempiere alla sua missione di giustiziere; instancabile atleta, esperto di arti marziali e combattente inafferrabile, ne ho stesi una buona quantità di piccoli e grandi criminali in questa Gotham city che per anni abbiamo fatto finta non fosse New York, ma che invece lo era, con tutte le sue meraviglie e le sue tragedie. Il pipistrello più amato di tutti i tempi ha sempre imposto la sua fiera e muscolosa immagine di eroe introspettivo e truce con quell’armatura nera con tanto di mantello che lo rende davvero spettrale. Un’incarnazione estetizzante della morte che arriva dall’alto in picchiata, ad ali spiegate, e si abbatte sul male annientandolo.
In realtà Bruce è un depresso con manie di persecuzione e anche un tantino paranoico. Ha investito i suoi soldi, le sue ingentissime fortune, per una causa più o meno giusta, questo glielo riconosco. Meglio che diventare delinquenti, questo è certo. Ma a volte si tratta di un caso, di una semplice scelta che può cambiar di segno e diventare pericolosa, drammatica. Che può a essere diversa, questo voglio dire; è andata bene, per quel che vale, e oggi siamo qui a liberare le strade dalla feccia e da psicopatici piuttosto intelligenti e tutt’altro che impreparati. Prendete Joker per esempio. Si è detto tanto, troppo, sui rapporti tra me e lui, in uno scontro drammatico all’insegna di un’ironia che ha segnato i nostri dialoghi pungenti e aggressivi, le rare volte in cui ci sono stati. Ci eravamo reciprocamente simpatici, in fondo in fondo, tutto qui.
Ecco, l’ironia è quello che mi distingue da Batman. Faccio fatica a prendermi sul serio, alla fine. Rido malevolmente di questa uniforme da cosiddetti super-eroi in cui ci hanno imprigionati e sto stretto nel mio ruolo di paladino “per forza” delle giuste e sante cause. Per questo, a un certo punto, ho spiccato il volo e ho messo in piedi un gruppetto tutto mio di scanzonati guerrieri metropolitani, gli Outsiders, e il nome già dovrebbe dirvi qualcosa. Il Pettirosso si è lasciato portar via dal vento abbandonando l’uomo in nero e le sue mitomanie ombrose.
É anche vero che altro non so fare. Cambio personaggio senza mai preoccuparmi della mia vera identità che è rimasta appiccicata alla tomba di Mary e John sulla quale torno di rado distrutto dai ricordi e dal dolore di quel giorno orribile. Domino i miei istinti più inconfessabili probabilmente schierandomi dalla parte dei buoni, posto che sia la parte giusta. Me lo sono chiesto un mucchio di volte dove sta davvero la parte giusta, e non sono riuscito a trovare una risposta definitiva e soddisfacente. Per smettere di essere un comprimario ho provato a diventare leader a mia volta, ma credo che il risultato sia stato piuttosto deludente.
Infilato nella sua corazza iper-tecnologica Bruce crede che lo scorrere del tempo possa essere fermato dalla tecnologia, che il suo spirito sia capace di evitare i morsi della vecchiaia incarnandosi nell’eternità della macchina. Filosofie grevi da miliardari cresciuti con una volontà di onnipotenza irrefrenabile, Io ipertrofici a caccia di sensazioni forti, di sussulti facili, di lacerazioni emotive profonde. Il tenebroso Batman scorrazza tra giungle d’asfalto e metropoli grigie alla ricerca di una ragione per esistere, di una parvenza di sentimento morale che lo induca a proclamarsi necessario, imprescindibile. Quanto a me, cerco di liberarmi di questo aspetto da eterno adolescente orfano cresciuto nel maniero di uno dei più ricchi magnati del pianeta e amorevolmente accudito da un maggiordomo, Alfred, che mi ha insegnato tutto sulle buone maniere, l’alta cucina, le letture migliori da fare e il portamento consono all’occasione quando si indossa uno smoking.
Appena posso, faccio un salto a trovarlo. Lui è sempre lì a occuparsi di tutto, nonostante gli anni abbiano intaccato la sua proverbiale compostezza anglosassone rendendone i passi incerti e i modi leggermente più bruschi. Mi chiama sempre “Signorino”, accennando un inchino che l’artrosi ha trasformato in una leggera oscillazione appena. Mi versa uno sherry e aspetta paziente che io lo renda edotto sulle ultime novità. Con lo sguardo liquido tipico delle persone anziane, è pronto a sottolineare con una semplice alzata di sopracciglia se qualcosa lo lascia perplesso o se proprio non va come mi sto comportando in questa o in quella faccenda. E tutte le volte ritorno il ragazzino composto che sono stato, tormentato da un disagio profondo e da nostalgie struggenti. Tutte le volte passato e presente si aggrovigliano insieme, in attesa di un futuro che sto aspettando.


Mario Coglitore

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