Lo scorso dicembre sono stati riaperti i Giardini Reali, nel cuore di Venezia, sul Bacino di San Marco, accanto alla Biblioteca Nazionale Marciana, che per lungo tempo hanno versato in abbandono ed erano parzialmente occupati da un bunker, ora demolito. Il ripristino è stato eseguito da Venice Gardens Foundation, fondazione privata che ha ottenuto l’area per 19 anni in concessione dal Demanio e vi ha creato anche un bar-caffetteria e la sua sede; il tutto grazie alla sponsorizzazione di Generali Italia s.p.a.
In quell’area, anticamente adibita a cantiere, venne eretto il trecentesco Fondaco delle Farine, imponente palazzo gotico che ospitò, dalla fine del Quattrocento fino alla caduta della Repubblica, la sede del Magistrato alla Sanità. Dal portale principale, contrassegnato dal leone marciano, si accedeva agli uffici affrescati da Parrasio Michieli (1516-1578). Nel 1807 il Fondaco fu demolito per creare un giardino per il sollazzo dei dominanti stranieri. La scelta di abbatterlo, motivata dalla volontà del Vicerè Eugenio di Beauharnais di consentire la vista del Bacino dagli appartamenti reali, in realtà mascherava il desiderio di cancellare la sede del Magistrato e le sue leggi sanitarie, contro cui il regime napoleonico covava un odio profondo, disprezzando qualsiasi misura di contumacia e prevenzione contro la peste. Durante la campagna d’Egitto, infatti, quando fra le truppe francesi ad Alessandria e a Damietta scoppiò la peste bubbonica, Napoleone non esitò ad ordinare l’eliminazione dei soldati ammalati somministrando loro potenti dosi di oppio, che ne accelerarono la morte per consentire il rapido rientro dei sani in patria. Di 50.000 uomini partiti nel 1801, ne rientrarono in Francia 23.000, di cui 3000 invalidi.
I tempi della guerra non ammettevano i ritardi delle quarantene per la cura e la prevenzione del contagio e i conquistatori francesi ancor meno erano disposti a riconoscere la validità delle scelte della politica sanitaria che aveva reso il Magistrato veneziano un riferimento normativo per tutte le nazioni europee e mediterranee. Esso infatti monitorò l’andamento dei flussi epidemici attraverso la sua rete di diplomatici e di “spie di sanità” e dettò agli altri stati le regole e i tempi delle contumacie. Per questi motivi la sua sede, ben visibile dal Bacino di San Marco e vicina a Palazzo Ducale, fu l’edificio più noto e più temuto dell’Occidente. Riconosciuto “legislatore d’Europa”, il Magistrato diramava migliaia di proclami a stampa per comunicare i porti e le nazioni “sospette” di contagio, con le quali invitava anche le altre nazioni a sospendere ogni rapporto commerciale. Nulla e nessuno poteva entrare a Venezia senza prima essere sbarcato sulla fondamenta di Terranova per essere esaminato nell’Ufficio di Sanità che stabiliva le modalità e i tempi della contumacia nei lazzaretti a tutela della salute pubblica. I capitani di tutte le navi che entravano in laguna dovevano descrivere sotto giuramento la rotta percorsa e gli scali toccati, consegnando la documentazione di viaggio e i certificati sanitari dei passeggeri, pena l’esecuzione capitale da eseguirsi sulla fondamenta, proprio davanti al portone del Magistrato. Anche le vie di terra erano controllate e sorvegliate con posti di blocco e postazioni sanitarie periferiche che facevano capo al Magistrato veneziano, che aveva il potere di comandare a tutti i capitani della Repubblica, tranne a quelli del Consiglio dei Dieci. Questa rete di controlli, estesa a tutti i domini, funse da modello di prevenzione delle epidemie per gli altri stati, che continuarono a subire la supremazia sanitaria di Venezia anche durante il suo declino politico ed economico. Carlo VI d’Asburgo e la figlia Maria Teresa, quando vollero far concorrenza commerciale alla Serenissima, dovettero applicare il suo modello sanitario.
L’Inaugurazione dei giardinetti reali, 17 dicembre 2019
Per tutti questi motivi l’abbattimento del Fondaco delle Farine, o meglio della sede del Magistrato alla Sanità della Repubblica, rappresentò da parte dei dominanti la distruzione di un simbolo rispettato e temuto nel Mediterraneo e nell’intera Europa. La sua ubicazione era simmetrica rispetto ai due lazzaretti eretti nel 1423 e nel 1468 e alle due cattedrali della fede: il tempio del Redentore e la Basilica della Salute, costruiti dalla Repubblica per voto in seguito alle pestilenze del 1576 e del 1630. Questi cinque Baluardi di sanità tracciavano nel corpo di Venezia un doppio cordone sanitario che la proteggeva dal pericolo che veniva dal mare. Il leone di San Marco, che campeggiava sul portale monumentale del Magistrato, era raffigurato nei suoi proclami, nelle sentenze e nei bandi a stampa diramati anche alle nazioni nemiche.
E’ nella logica delle cose che i conquistatori abbiano cercato di azzerare le eccellenze dei nemici che avevano sottomesso, ma non è ammissibile l’oblio di chi dovrebbe restituire la memoria storica di un luogo che viene oggi riaperto al pubblico e che sorse sulle macerie di una pagina di grandissima civiltà. Se i Francesi demolirono la sede del Magistrato alla Sanità, gli Austriaci lo ricostruirono, ma a Trieste, completando l’annientamento dell’egemonia veneziana sul Mediterraneo con lo spostamento dei traffici sul porto triestino.
Quel giardino, sorto sulle macerie del Magistrato , fu il segno della definitiva trasformazione di Venezia da dominante a suddita. Gli Asburgo, subentrati ai Francesi nel 1814, nello spirito del totalitarismo monarchico, sottrassero alla fruizione pubblica sia la fondamenta che l’approdo e, demolendo i ponti sul rio della Luna, interruppero il collegamento con la città. Il giardino fu perimetrato da balaustre in pietra e chiuso da un cancello in ferro per essere collegato con un ponte privato soltanto agli appartamenti del Re. La sottrazione di quest’area pubblica fu parzialmente revocata nel 1857 da Francesco Giuseppe, che restituì all’uso cittadino la sola fondamenta, dividendola dal giardino reale con una lunga cancellata di ferro. Il padiglione, progettato da Lorenzo Santi nel 1816 per i sovrani austriaci, divenne una caffetteria. Nel 1861 l’affaccio romantico sul Bacino fu nuovamente sottratto al pubblico utilizzo per riservarlo alle passeggiate dell’imperatrice Sissi, infine, nel 1866, i Savoia riaprirono l’area ai veneziani che tre anni dopo vi organizzarono la grande pesca di beneficienza per raccogliere i fondi per istituire l’Ospizio Marino Veneto al Lido.
Nel 1920 il Demanio affidò la gestione del giardino al Comune di Venezia. Il padiglione di Lorenzo Santi divenne la sede della Società Canottieri Bucintoro per essere poi adibito ad altri usi commerciali, mentre la parte arborea divenne un’area degradata finché, nel dicembre 2014, il Demanio diede in concessione l’intero complesso a Venice Gardens Foundation perché lo restaurasse e lo gestisse. Il nuovo assetto botanico è stato ideato da Paolo Pejrone, mentre la parte architettonica, che comprende il pergolato ottocentesco, il padiglione del caffè, la grande e la piccola serra, è stata restaurata da Alberto Torsello, Carlo Aymonino e Gabriella Barbini.
Restaurare significa restituire al presente, non solo la fisicità di un sito, ma anche la sua memoria e il suo valore simbolico. Venezia lo merita. Perciò sarebbe stato opportuno che il ripristino di questo spazio verde, che costituì una ferita al cuore della antica Repubblica, ricordasse anche la grandezza dell’istituzione che vi era sorta e che portò alla civiltà occidentale un grande contributo nella lotta alle epidemie e nell’organizzazione internazionale della sanità.
Nella foto sopra vecchi pontili e nuovii a San Zaccaria

Nelli Vanzan Marchini
Storica - Docente
Giampietro Feltrin
8 Febbraio 2020 at 12:11Ripetutamente magistrali la memoria e la documentazione di Nelli Vanzan Marchini su tutti gli aspetti della criticità di Venezia.. Ma la leggono i ‘veneziani di terraferma’ un tempo , se ben ricordo, chiamati ‘venessiani del Dolo’ ?. giampietro feltrin
Mario Stefani
11 Maggio 2020 at 16:51Sempre in ammirazione delle ricerche e dei lavori della dr.ssa Nelly Vanzan. Quanto illustrato dimostra ancora una volta come noi veneziani non sappiamo sfruttare culturalmente e turisticamente l’enorme giacimento di storia e civiltà che Venezia rappresenta. Anche solo come simboli si continua a distruggere quello che Venezia appare, questo è valido per il Magistrato alla Sanità di cui si era persa memoria ma vale anche per il Magistrato alle Acque che per la Dominante e per il suo territorio ha rappresentato la salvezza della città e l’avvio dell’utilizzo agrario della terraferma. Dovremmo pretendere che nei giardini Reali si trovi il modo di porre qualcosa a ricordo del ruolo ricoperto da quel luogo così come ripristinare l’antica denominazione di Magistrato alle Acque. Poi attivare iniziative con le università con le scuole con i musei perché sia conosciuta la saggezza e la lungimiranza dei nostri avi