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Il racconto. “Agostina”

di Milena Angeli

Un’altra gravidanza, sarebbe stata di troppo per Agostina.

– Basta adess … i è già zinque, el to om semper nele miniere del Belgio… come faresit a tirar avanti?

L’ostetrica, chiamata familiarmente da tutti la comare, tentava invano di dissuaderla.

Il ritorno di Vitale in paese, dopo i lunghi mesi trascorsi nelle miniere in Belgio, lasciava, ogni volta

il segno ineluttabile del suo passaggio: una nuova gravidanza per Agostina.

Giovanni, l’ultimo arrivato, era nato in condizioni difficilissime e si era dovuto ricorrere a tutta l’esperienza e la perizia della comare, che, assistita per tutta la notte dal medico condotto, dalla madre e dalla vicina di casa, era riuscita a scongiurare il peggio. Agostina manteneva un ricordo

indelebile di quell’ultimo parto, così complicato e rischioso.

Trovarsi di fronte a bambini con crisi respiratorie e con un aspetto gracile, era frequente per la comare, ed allora, come le era consentito fare, impartiva loro il battesimo, poi, con un verbale lo giustificava al parroco. Da donna esperta, sapeva come afferrare la vita che, in quei momenti, era davvero, tutta nelle sue mani e poteva trovarsi nelle condizioni di prendere decisioni assai gravi.

La mortalità infantile era frequente, così come le morti per complicanze da parto.

Lei sapeva consigliare su come «tenerse da conto» durante la quarantena, periodo, nel quale le puerpere dovevano seguire una dieta particolare, per favorire la lattazione e per non guastare il latte. Nell’ultimo mese di gravidanza, era consigliabile non stare troppo curve e non sollevare carichi pesanti, il feto ne poteva risentire.

– Che devo far comare? Mi fa pena quell’uomo…, sempre a lavorare sotto terra…, respira a fatica… el vedo semper peggio …si ammalerà di sicuro, me lo sento. È un buon uomo, non mi fa mancare niente –

La pelle secca e grigiastra del viso di Vitale, nonostante la sua giovane età, il suo respiro difficile, la tosse cronica che aveva sviluppato, la tenevano vigile e desta durante la notte.

La prussiera, la temibile ed insidiosa silicosi, era frequente tra i maschi che lavoravano in miniera

e in quegli anni di massiccia emigrazione, falcidiava numerosi uomini e padri di famiglia.

– At savest che l’Agostina la compra ancora? – sussurravano le donne del paese.

La vedo passar spess dala comare… –

– Io non capisco…l’ultima volta stava per lasciarci la pelle… –

– Anche Vitale, si sa quello che ha, non è più un mistero per nessuno. Gli hanno consigliato di non andare più in miniera. –

 

Finirà anche lui come l’Oreste della Elda, che non ha fatto in tempo a vedere l’ultima femmina nata, o come el Paride della Irma che l’è tornà bel e che mort…!

Affrontare l’ennesima gravidanza con una sesta bocca da sfamare, con un marito sempre lontano, costituiva un’impresa rischiosa da molti punti di vista…

–  Agostina – insisteva la comare, staghe drio a quelli che hai già, un altro sarebbe troppo… mi raccomando!!

–  Ne ho viste tante come te -incalzava, – ascoltami, non rischiare un’altra volta… –Tel digo per el to ben! –

Agostina usciva pensierosa dalla visita alla comare:

Beh… si vedrà, che sarà mai, cinque ne ho fatti. N’ alter nol faria nessuna differenza, bisogna che parli con Vitale.

La si vedeva passare sullo stradone, salutando frettolosamente i paesani che incrociava per raggiungere il campo di patate della sorella, a tirar su i farinei (spinacio selvatico), che infestavano le giovani piante, o intenta a raccoglierle, curva sulle bine (solchi nel terreno) o, spostando i pesanti sacchi sul carro.

Testa alta e sguardo vigile e attento, le trecce dei capelli corvini annodati dal basso all’alto della nuca, come usava allora, in segno di ordine e disciplina, conferivano al suo incedere, un aspetto di dignità e fierezza. Camminava trattenendo le estremità del suo inseparabile scialle, le grosse vene varicose nascoste da pesanti calze elastiche…

Anche Don De Matté aveva a cuore Agostina che, dopo averla confessata, ribadendo il ritornello che impartiva a tutte in confessionale: «comportati con tuo marito, come foste fratello e sorella»; faceva portare dalla sua perpetua, delle uova fresche, infilandole con noncuranza nei tasconi del suo vestito.

Agostina, restituiva i favori, trovando sempre il tempo per cambiare l’acqua ai fiori dell’altare e per lavare il pavimento della chiesa.

Alle cinque del mattino, aveva quasi tutto pronto dalla sera prima: i vestiti puliti e i grembiulini di scuola stirati a dovere e ripiegati sulla panca di legno della cucina.

Davanti alla finestra, nell’angolo più luminoso, troneggiava una Singer.

Pantaloncini, camice e grembiulini, venivano cuciti con quella macchina, che Agostina si era portata da casa, come dote. Prima di sposarsi con Vitale, faceva la sartina e conosceva bene i trucchi del mestiere.

Ogni mattina, sulla colomica (stufa a legna), due celeti (secchielli di stagno) fumanti di caffè latte,

attendevano di essere versati in grosse scodelle, posizionate sul tavolo di formica verde.

Il latte, per fortuna, non mancava, c’era la mucca nella stalla, in casa della suocera e dal caser si poteva trovare morbida ricotta e formaggio.

Rimaneva il buco di qualche calzino da rassettare alla svelta e i ragazzi avrebbero preso la strada della scuola, contenti e felici.

– Sono quasi le otto, Angelo, dai. Guarda che ti sei dimenticato il quaderno di matematica sulla credenza … –

– Lidia, metti la maglietta verde perché quella rossa è troppo lisa sui gomiti…e tira su la cerniera di quella benedetta gonna … –

– Mammaaa! Lo sai che la pellicina della schiuma del caffelatte mi fa schifo, voglio il caffè col vino …il papà dice che lo posso prendere anch’io qualche volta… –

– Luciaaa… ancora non ti sei vestita? Possibile che tu sia sempre l’ultima… e sei anche la più grande, dovresti essere di esempio per gli altri. –

– Firma mamma: «Mio figlio ha letto dieci volte il brano di Ada Negri a pag 87». –

I cighi di quei bambini che chiedevano attenzione, riempivano la piccola cucina, il cui impiantito scuro e pieno di avvallamenti, faceva cigolare le sedie impagliate.

I due maschi e le tre femmine di Agostina, reggevano perfettamente il confronto con i figli del farmacista, del medico del paese e del direttore delle poste, a parte qualche toppa nei pantaloni e le scarpe di seconda mano, regalate dalla daziera, la moglie del dazier, l’esattore delle tasse, insieme ai fumetti di Topolino e Paperino.

I soldi che arrivavano dal Belgio, servivano per riscattare quei do siti che Vitale aveva preso in affitto quando si erano sposati e, forse, anche en toc de tera che… si sa, col gnent no se fa gnent.

I figli, ora stavano crescendo, lei era preoccupata e sempre alla ricerca di qualche lavoretto per raggranellare qualcosa.

Serviva un gabinetto vero. Non era più possibile, uscire all’aperto, per farlo in quel posto

maleodorante, anche se lavato e disinfettato con bruschin e varechina. Costruito provvisoriamente da Vitale con quattro assi e due chiodi, rimaneva sempre in attesa di essere rinforzato durante i suoi rientri.

Il rito del mastello, in cucina poi… dove a turno, ogni benedetto sabato, i ragazzini, entravano, inondati da una nube di vapore, era diventato un pandemonio! Andava interrotto!

Ma, a dispetto di tutte le raccomandazioni della comare… quel parto, avvenne.

Ai primi segnali di quella vita che le palpitava dentro ancora una volta, Agostina aveva detto il suo

« sì ».

I figli erano la sua ricchezza, il suo orgoglio ed anche questo, lo sarebbe stato, come tutti gli altri.

 

– Me sento strana comare… son fiaca, senza forze e la notte, questo brigante, el se fa sentir come sel voles spaccarme la pancia dai dolori… –

-Me devo fermar ad ogni roba che fago… oggi passando da mia suocera per il latte, ho dovest poggiarme sul muret e son cascà sul stradon: la Lucia l’ha se spaventada e la ma tirà su. –

La comare capisce che qualcosa non va….

– Preparati Agostina… bisogna far prest… chiamo subito el dottor. –

Resta a casa, porta i tò fioi dalla Olga e chiama tua madre e la Irma! –

– Ma che succede comare… el già ora? –

 

Tutto precipita inspiegabilmente…I ritmi temporali di quella gravidanza vengono stravolti.

E, come durante un temporale i tuoni si alternano ai lampi, rumoreggiando rabbiosi dalle nuvole basse e minacciose, così, Agostina sente il suo ventre lacerarsi nei morsi di un dolore che la prosciuga e la trascina via con violenza e terrore.

Qualcosa di orribile e misterioso aleggia nella stanza e sul volto degli astanti.

 

Perché non me lo fate vedere? –

– Metemel chi… comare come te hai semper fat…!! –

El me par tranquillo… che fortuna averne uno calmo e dormiglione… –

Gli occhi lucidi e pietosi della comare incontrano quelli impazienti di Agostina, mentre le donne che l’assistono si avvicinano come per attutire solo un poco le sue parole…

Il fagottino sanguinolente senza vita, viene posato nella sua cuna e ricoperto con un lenzuolino bianco. Le braccia della comare, ancora fradice di muco e di sangue, disegnano su quel corpicino il segno della croce.

 

«No, Agostina, meglio che tu non veda!»

 

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