Nello stagnante mondo della scuola finalmente s’è effettuato un esperimento didattico. Improvvisato e imposto dal virus piuttosto che pensato, ma accontentiamoci: senza pandemia non sarebbe successo nulla. Purtroppo, ora che si deve ripartire, invece che procedere, non si pensa ad altro che a tornare al passato. Quel che davvero interessa insegnanti e sindacati sono le assunzioni dei precari – con il quasi secolare cliché di farseschi concorsi e successive sanatorie – e al ritorno a scuola nelle modalità e negli spazi pre-covid.
I vetusti specialisti del luogo comune e del conformismo si scandalizzano perché la “scuola” perderebbe la “funzione socializzante” che è una componente fondamentale del processo formativo. Grande scoperta, ma di quale socializzazione parlano non si sa. Altri, pur di non cambiare nulla, sottovalutano irresponsabilmente i rischi derivanti dall’aggregazione in luoghi malsani di migliaia di studenti in plessi scolastici sempre più grandi e spersonalizzanti che creano problemi di mobilità, di controllo sociale e somigliano più a delle carceri che a luoghi per l’apprendimento civile. A causa del rischio di contagio diffuso nelle scuole ed esteso alle famiglie, il governo sta tentando di introdurre modelli didattici nuovi. Ma non sia mai che si cambino simulacri ottocenteschi quali le strutture della “classe”, degli orari, delle materie e dei programmi, delle assunzioni, dei voti e degli esami. Per non parlare di un’organizzazione sociale in cui le scuole sono silos e parcheggi di bambini per genitori che lavorano. E le regole sono tutte rigidamente stabilite da un lontano ministero. I conformisti e conservatori, piuttosto che a cambiare, s’impegnano (per quanto la loro pigrizia glielo consente) a sottovalutare i pericoli per lasciare tutto com’è, disinteressati ai gravi rischi che provocano.
Che fare allora? L’istruzione da remoto certamente non sostituisce la socializzazione che costituisce in effetti una delle funzioni principali della formazione dei giovani. Ricordiamoci però che oggi essa avviene malamente nelle scuole e nell’università. Va oltre l’immaginazione di chi opera nella scuola cogliere l’occasione per affrontare il tema in modo diverso, magari tenendo conto del distanziamento sociale? Forse è buona socializzazione quella a cui sono esposti 2000 giovani accatastati in un edificio e costretti sempre nella stessa aula affollata con le stesse persone e con rigide norme disciplinari?
Invece che criticare l’istruzione online per la mancanza di socializzazione, domandiamoci quale socializzazione produce la scuola di oggi.
Un’istruzione regionale
Prima di tutto, non si capisce perché l’istruzione debba essere gestita a livello nazionale come quando la maggior parte dei cittadini era analfabeta e pochissimi continuavano dopo le elementari o le medie. Le Regioni – ma anche le Province – oggi sarebbero perfettamente in grado di organizzare il proprio sistema di istruzione, di reperire gli insegnanti (che sono tutto fuorché una risorsa scarsa). Le scuole materne ed elementari potrebbero benissimo essere delegate persino ai Comuni. In generale, una maggiore competizione tra scuola privata e pubblica gioverebbe a entrambe purché si possano proporre diversi modelli di istruzione e socializzazione. Naturalmente, qui si apre la questione sul valore legale del titolo di studio che costituisce un grave ostacolo al cambiamento.

Corrado Poli
Docente / Scrittore