Piu del jeans firmato dove l’etichetta, quel pezzettino di stoffa che fa da spartiacque tra chi può e chi vorrebbe, sta appiccicata in zona disagiata, nelle terga, proprio sotto la cintura. I più scafati la sgamano al primo colpo d’occhio, i neofiti devono soggiornare con lo sguardo a lungo. E mica è detto che ci riescano a capire se l’autografo su cotanta meraviglia sia di questo o quel guru dello stile.
Con le mascherine è altra vita. Il virus ce le ha imposte, la moda ce le ha fatte amare. A tal punto che è nata una nuova generazione di “fashion victim”: i vanitosi della mascherina.
La esibiscono come un trofeo. Dipinta, strutturata, firmata, rubata al pennello di un artista o alla lungimiranza economica di uno stilista. Abbinata agli abiti, del colore delle scarpe del tessuto della camicia come fosse la pochette di un elegantone. Dal proteggiamoci siamo passati al proteggiamoci con stile al chimelatogliepiù.
Prodotto scacciacrisi per qualche industria tessile che si è furbamente riconvertita si è trasformata da oggetto di protezione individuale a elemento di moda. I grandi marchi la propongono come accessorio per distinguersi, la moda chip la esibisce con ironia. E vai a musetti di cane, quadri di Klimt, oceani spumeggianti, barbe finte e labbra a canotto.
Siamo tutti volti a metà. A me gli occhi, quando il fashion occhiale non cela, il resto è moda. Stop a labbra disegnate e pizzetti impertinenti, baffi ammiccanti o counturing arditi. Il fascino è del privato, in nome della scienza abbiamo consegnato la parte inferiore del nostro volto al consumismo. E che poi protegga o meno è questione secondaria.
Se l’elemento distintivo per i modaioli sta tutto nel cosa mi metto, per i salutisti osservanti è il “come la metto”. Un esercito di noiose mascherine chirurgiche che dovrebbero essere usa e getta e che diventano il capo della stagione.
Il rigoroso la calza dall’occhio in giù non curante dell’occhiale che si appanna e non se la toglie neppure quando in auto guida in solitaria; il “vorrei ma non ci riesco” l’appoggia mollemente sulla punta del naso confidando in quel refolo di aria fresca che s’intrufola.
Poi c’è lo spigliato, mascherina “semovente”, sale e scende sulla base della necessità, abitualmente alberga sulla punta del mento in un magico equilibrismo.
Il trasgressivo la tiene al polso, si sa mai servisse; quello che “io non ce la posso fare” in testa a mo di tendina parasole pronta a calarsi alla prima avvisaglia di pericolo. I più scialli si adornano il collo, c’è ma non si vede. Gli irriducibili ce l’hanno, ma in tasca, tra un kleenex e i 5 euro per la colazione: elastici consunti e neri, tessuto carta unto e bisunto. Non importa l’importate è esistere.
Non ultimi i “bastian contrari”, mascherina a chi? Negazionisti per natura ribelli per scelta esibiscono la propria nudità senza pudore, non omologati in un universo di coscienziosi cittadini. E che il virus sia con voi.

Daniela Boresi
Direttore - Giornalista