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LE REGOLE DEL VIVERE CIVILE: Atto secondo: “I RAPPORTI SOCIALI”

“Sono stato trattato peggio di una cameriera”! L’improvvida e volgare frase di Luciano Benetton ci serve per introdurre il secondo capitolo sul vivere civile e la buona educazione. Cogliamo l’occasione per entrare nel merito di come si devono trattare le cameriere che, prima di tutto, sarebbe opportuno chiamare piuttosto collaboratrici famigliari. Non si tratta solo di formalismo, ma soprattutto di sensibilità.

Oggi, una colf è una normale lavoratrice che aiuta persone che preferiscono dedicarsi ad altre occupazioni piuttosto che ai lavori domestici. Null’altro che un aspetto della divisione del lavoro. La colf serve me come io servo qualcun altro senza alcuna differenza di classe: così dovrebbe essere. Senonché un tempo, i servitori e le cameriere appartenevano a una classe sociale considerata inferiore rispetto a coloro che servivano. Per questo in alcuni rimane una sensazione di umiliazione a svolgere questo mestiere e in altri un senso di sciocca superiorità. Non dovrebbe essere così, ma poiché talora lo è, quindi vale la pena affrontare questa relazione umana con la dovuta delicatezza e attenzione.

All’inizio del rapporto di lavoro con la nuova domestica bisogna sempre chiamarla “signora” per non fare sentire la differenza di classe. In seguito, si può aggiungere all’appellativo il nome di battesimo e, solo dopo un po’ di tempo, passare al semplice nome, una volta creatasi una certa familiarità e fiducia reciproca. Mai però dare del “tu”, salvo in casi eccezionali e solo a condizione di reciprocità.

Anche a me accadde di trovarmi pressappoco nelle condizioni di una colf. Quando avevo venticinque anni, un’estate fui assunto come maestro di ginnastica (qualcosa del genere) in un Kinderheim estivo per bambini ricchissimi (c’era tra gli altri anche Cristiano D’Andrè e altri che venivano accompagnati in Rolls Royce). La proprietaria nell’assumermi mi dava del tu e io le risposi da allora in poi allo stesso modo nonostante fosse la mia datrice di lavoro e avesse il doppio abbondante dei miei anni. A me venne spontaneo per via della mia educazione e per il fatto che non sono mai stato abituato a sentirmi “socialmente inferiore”. Mi accorsi subito che il mio comportamento sorprese molto la mia datrice di lavoro. Non mi disse nulla e continuammo imperterriti a usare la forma colloquiale che lei non si aspettava dai dipendenti ai quali dava il “tu” ricevendo in cambio il “lei”. Io mi sono sempre comportato in questo modo nella mia vita, perché ho interiorizzato l’idea che non esistono persone socialmente “inferiori”.

Non ho mai sentito in casa mia qualcuno che desse del “tu” alle numerose colf che si sono succedute, né l’ho mai fatto io, salvo rare eccezioni e dopo molto tempo o quando il rapporto di lavoro s’era concluso. Anche in questo caso, la buona educazione e la civiltà hanno bisogno, per essere oneste e sincere, prima di tutto di flessibilità: quindi insistere troppo a chiamare “signora”, dare del “lei” e mantenere le distanze con una persona con cui si dividono i lavori quotidiani, talora – ma non sempre – può essere persino più discriminatorio.

Il vero problema non è il senso di superiorità che Benetton e altri dimostrano nei confronti delle cameriere. È piuttosto il contrario: alcuni si sentono umiliati nel fare un lavoro pur degnissimo e, più o meno consciamente, considerano se stessi a un livello sociale inferiore. Nessuno ti può fare sentire inferiore se tu non dai il tuo consenso. Dobbiamo infatti renderci consto che spesso è la nostra insicurezza a metterci in condizioni di inferiorità di cui altri approfittano. E reagiamo talora con intimorita umiltà o con altrettanto inutile arroganza. Questa è la cosa peggiore che può succedere, ma sappiamo che succede spesso perché la mentalità è lenta a cambiare. Molte colf – le “cameriere” – subiscono questa condizione e una persona educata e sensibile deve cercare di evitare che si verifichi: senza esagerare, né cadendo in un’eccessiva e falsa deferenza, né mostrando un’assurda superiorità. Bisogna fare in modo di avere un rapporto socialmente alla pari pur con i diversi ruoli. Quando ci si crede scioccamente superiori è facile porsi a un livello inferiore, ma la vera nobiltà è sapere stare allo stesso livello degli altri. Tuttavia, non sottovalutiamo l’altra faccia della medaglia: anche le colf devono avere coscienza della propria dignità e non compiere l’errore di sentirsi inferiore a chi dà loro lavoro assumendo toni alternativamente troppo umili o troppo arroganti.


Corrado Poli

Docente / Scrittore

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