“La felicità è la nuova ricchezza. La pace interiore, il nuovo successo. La salute, la nuova abbondanza. La gentilezza, la nuova direzione”. Sembrerebbero parole banali. Invece, le si possono contestualizzare nel momento in cui viviamo. In questo senso hanno delle conseguenze importanti. Sull’economia della felicità è stato scritto molto da almeno quarant’anni. Tuttavia, io porrei piuttosto l’attenzione, non tanto sulla felicità come nuova ricchezza, quindi sul piano economico, quanto sullo stile di vita che, se realizzato, conduce alla felicità che è ovviamente l’obiettivo di tutti. La disponibilità di denaro e la possibilità di comprare “cose” dà tuttora felicità a molte persone. In passato, quando molti stentavano a soddisfare i consumi primari o subito dopo quando si ambiva ai consumi di massa, il numero di coloro che cercavano soddisfazione nel denaro era superiore a quello di oggi. Il denaro serviva a comprare la felicità, anzi era necessario e una parte della felicità poteva effettivamente essere comprata con i soldi. Ma la società del consumo di massa è tramontata e si è modificata in quella degli stili di vita. Fatti salvi i consumi essenziali e quel po’ di superfluo a cui molti possono tuttora accedere agevolmente, la felicità di gran parte dei cittadini deriva dal sistema di valori che ha interiorizzato e che tenta di mettere in pratica. Ci sono coloro i quali si accontentano di una vita modesta – pur sempre ben al di sopra di un livello di sussistenza – ma si realizzano nel perseguire una vita sana, sportiva, eticamente rispettosa dell’ambiente e via dicendo. Altri, nel cercare la pace interiore, preferiscono non avere posti direttivi, ma praticare un lavoro semplice e dipendente che dà loro il modo di dedicarsi a se stessi e ai propri cari se li hanno. E con questo, non importa che sia maschio o femmina, sebbene il cambiamento è intervenuto soprattutto tra i maschi a molti dei quali la carriera non dà necessariamente il prestigio di una volta né l’obbligo sociale di perseguirla. Questo succede perché nella società diversificata degli stili di vita, i cittadini di oggi frequentano circoli ristretti di persone che hanno grosso modo la stessa scala di valori e non si confrontano sugli standard di una volta rappresentati quasi per tutti dalla carriera, dal denaro e da una serie standard di beni che erano nell’ordine la casa, l’auto, la seconda casa, la barca eccetera. Oggi convivono nella società gruppi sociali che sono stati definiti “moderni” da Ray e Anderson (2000) i quali sono portatori di valori che oggi – dopo vent’anni dalla pubblicazione del libro e un quarto di secolo da quando è stato concepito – definiremmo tradizionali, di una società basata (in breve) sulla competizione e sui valori del successo e del denaro, sull’impresa da sviluppare il più possibile (gli aggressivi capitani d’azienda), sui rapporti utilitari e su un modello unico di società. A costoro si opponevano i tradizionalisti, ispirati soprattutto dal pensiero religioso organizzato, diverso dal misticismo, e da valori premoderni. Questo gruppo sociale, a mio parere (ma si dovrebbero fare ricerche approfondite) s’è molto assottigliato in Europa negli ultimi trent’anni. Rimane un gruppo sociale che ha assunto forme diverse di conservatorismo pur rimanendo separato e profondamente diverso dai “moderni”. Si può ipotizzare che i tradizionalisti, nell’essere sostituiti dalle nuove generazioni, si siano trasformati in un gruppo di cittadini assetati di welfare, che rivendicano vecchi principi svuotati del sentimento che avevano in origine – quali comunità, patria e famiglia – e che abbiano maturato un profondo scontento per il non sapere trovare un posto adeguato nella società. Il fenomeno è vasto e diversificato e anche l’ipotesi che i membri di questo gruppo sociale provenga dalla cultura tradizionalista è da mettere in discussione.
Il gruppo più interessante, invece, è formato dai “creativi culturali”, per riprendere la dizione di Ray e Anderson, ma che si possono anche chiamare progressisti. Questo nuovo – ormai non più tanto – stile di vita è seguito da un crescente numero di persone che seguono esattamente l’appello riportato all’inizio dell’articolo, ma lo fanno in modo innovativo, usando le nuove tecnologie, scegliendo diversi luoghi e modi di vivere e affrontando il tema del lavoro come autorealizzazione prima ancora che come fondamentale necessità. I creativi culturali hanno una notevole sensibilità ecologica, sono aperti alle diversità sociali ed etniche e promuovono una società che ancora non esiste i cui contorni si vanno definendo gradualmente. Non sono legati agli oggetti e preferiscono spendere i soldi – tanti o pochi – che hanno nelle relazioni, nella cultura, nei viaggi, in corsi di formazione di vario genere. L’obiezione è che si tratta di persone giovani, ricche e istruite che si possono permettere lo stile di vita che gradiscono e di scegliere tra le varie opportunità. In effetti è così, ma solo in parte perché questi stili di vita non comportano necessariamente alti redditi, che si sono in effetti contratti negli ultimi decenni, ma proprio quella concentrazione sulla “pace interiore” e sulla “salute” di cui si diceva in apertura. E anche la gentilezza e l’inclusione degli altri fa parte di un livello di civiltà in continua evoluzione. Non si può fare una classifica su chi siano i migliori né su chi prevarrà rimarranno tutti e ciascuno si evolverà in modo diverso. Chi scrive non ha nascosto una simpatia per il terzo gruppo, ma non dimentica come l’aggressività e concretezza dei “moderni” sia necessaria a conservare livelli di reddito e di cambiamento che richiedono persone dedicate, ambiziose e aggressive. E anche i tradizionalisti hanno la loro ragion d’essere per non smantellare istituzioni sociali, quale la famiglia e le organizzazioni religiose, senza le quali si rischia di fare crollare una struttura sociale costruita nel corso dei secoli anche nella psiche di ognuno. La sintesi di queste riflessioni è che oggi la nostra società è diversificata come mai lo è stata prima. Si scontrino numerose e apparentemente o temporaneamente inconciliabili visioni del mondo a cui corrispondono diverse varietà umane che tutto rappresentano fuorché una società di massa.

Corrado Poli
Docente / Scrittore