Il professor Giorgio Palù, virologo e microbiologo, professore emerito dell’Università di Padova e già presidente della Società europea di virologia è tra i massimi esperti internazionali che stanno studiando la pandemia da coronavirus che ha interessato il mondo intero. In questa intervista ci aiuta a conoscere meglio questo microorganismo e a capire come difenderci.
Professor Palù la pandemia covid-19 è causata da un coronavirus sulla cui natura si sono fatte molte congetture. Di che virus si tratta e da dove proviene?
“Quella dei coronavirus è una storia lunga, li conosciamo da anni. Quello di cui stiamo parlando ora è un coronavirus, proviene da una famiglia di virus ad RNA positivo con il genoma più grande tra i tutti i virus animali, oltre 30mila nucleotidi. Ce ne sono almeno 100 specie che infettano gli animali e provocano soprattutto infezioni gastrointestinali o respiratorie. I primi coronavirus umani identificati (HCoV-229E e HCoV-OC43), sono stati descritti negli anni Sessanta, provocavano il raffreddore. Gli studi effettuati sui volontari umani avevano dimostrato che chi si infettava con quei virus godeva di almeno 2 anni di protezione grazie alla produzione di anticorpi neutralizzanti specifici”.
Che origine avevano questi Coronavirus?
“I virus del raffreddore umano, come i successivi coronavirus trasmissibili da uomo a uomo, più aggressivi e letali, scoperti all’inizio di questo secolo, non sono di origine umana, ma derivano dal pipistrello o dal topolino; sono dunque virus zoonotici. Per passare all’uomo hanno di solito avuto necessità di un ospite intermedio. Nel 2002 venne identificato il virus della SARS (SARS-CoV-1), un coronavirus originatosi nel pipistrello e trasmesso all’uomo attraverso il procione o la civetta delle palme. Stiamo parlando di un agente responsabile di una patologia respiratoria acuta molto grave (Severe Acute Respiratory Syndrome), natain Cina nel Wandong. L’aveva diffusa un medico cinese che l’aveva contratta nel mercato di animali vivi della sua città e che successivamente si era recato a Hong Kong per una cerimonia nuziale. Qui aveva infettato un collega canadese che aveva poi diffuso l’infezione all’ospedale universitario di Toronto. La mortalità era alta, oltre il 10 per cento. Ma si trattava di una epidemia spentasi abbastanza in fretta nell’estate del 2003 (oltre 7000 soggetti infettati nel mondo), poiché essendo un’infezione gravata di una significativa letalità fu creato un serrato cordone sanitario per isolare i soggetti affetti”.
E siamo solo all’inizio?
“Ci sono altri coronavirus che infettano l’uomo. Nel 2005 e nel 2006 vengono trovati altri 2 virus, NL63 e HKU1, il primo isolato a Rotterdam e l’altro a Hong Kong; anche questi virus hanno origine dal pipistrello e dal topolino e causano il raffreddore o una banale sindrome delle prime vie respiratorie. Altra infezione nel 2012, con origine in Arabia Saudita, la MERS (Middle East Respiratory Syndrome). Si tratta però, in questo caso, di una forma respiratoria acuta molto grave causata sempre da un coronavirus proveniente dal pipistrello e veicolata all’uomo attraverso il dromedario. La MERS ha una mortalità ancora più elevata della SARS (35%). Anche questa sindrome inizia in aprile e si estingue in estate del 2013 per tornare con piccoli focolai nel 2017, 2019 in Arabia e Corea del Sud, dopo aver colpito oltre 2000 soggetti”.
E arriviamo al 2019…
“A dicembre gli scienziati di Wuhan (città cinese della provincia di Hubei) descrivono una nuova patologia infettiva di tipo respiratorio acuto con manifestazioni gravi. Nel gennaio 2020 isolano un nuovo coronavirus che si trasmette da uomo a uomo e lo chiamano 2019-nCoV (nuovo Coronavirus del 2019), virus che poi l’ICTV (International Committee for the Taxonomy of Viruses) ribattezzerà col nome di SARS-CoV-2 in quanto ha l’80 per cento delle sequenze uguali genomiche uguali al virus della SARS del 2002. Quando poi esaminano il nuovo coronavirus con maggiore attenzione notano che per il 96 per cento del genoma è identico al coronavirus del pipistrello a zampa di cavallo, RTG13, di origine cinese. In un primo momento sembrava che una specie di formichiere di origine asiatica, il pangolino, fosse l’ospite intermedio, ma la scoperta non è poi stata confermata”.
Ma da dove viene questo virus?
“Si dice da Wuhan, ma quando lo cercano nel mercato di animali vivi della città ne trovano tracce solo nel 10 per cento dei campioni ambientali. Una delle ipotesi è che arrivi dal laboratorio BL-4 di Wuhan dove venivano effettuati esperimenti sui coronavirus del pipistrello. Va detto che il virus umano ha alcune sequenze genomiche che non si trovano nel virus del pipistrello né in quello del pangolino. SARS-CoV-2 ha lo stesso recettore del virus della SARS del 2002, l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2), ma un’affinità per questo recettore superiore di 10-30 volte. E’quindi un virus molto più contagioso per l’uomo del virus della SARS, anche se meno letale (letalità dell’1,5%-2%), come ci indicano i dati di sieroprevalenza.”
Ora a che punto siamo?
“Siamo ad una diffusione pandemica di SARS-CoV-2 con più di 15 milioni di persone infettate nel mondo e oltre 600.000 morti. Ci troviamo di fronte ad un virus che è sicuramente partito da Wuhan, ha viaggiato da Est a Ovest e adesso si sta sostando da Nord a Sud. Prima è arrivato in Europa perché i rapporti Cina e Europa sono stretti. Ora si diffonde nelle nostre latitudini con maggior difficoltà perché i raggi ultravioletti nel nostro emisfero boreale sono quasi verticali e la radiazione solare assieme al rialzo termico estivo blocca la diffusione del virus.
Ora sta esplodendo in Sud Africa.
“Certo, perché adesso lì è il posto meno caldo, ed ha inizio la stagione invernale. Ci dobbiamo aspettare che faccia il virus faccia il giro del mondo con ricorrenze stagionali. È probabile che si comporti come il virus dell’influenza, virus con cui conviviamo, con periodicità stagionale ma mortalità nettamente inferiore (0’1%)”.
Dobbiamo temere una seconda ondata?
“Come dicevo è probabile che SARS-CoV-2 ritorni nel prossimo autunno-inverno. Prendiamo quello che sta avvenendo in Italia in questi giorni. Ci sono nuovi focolai di infezione con casi fortunatamente non gravi, per il 95 per cento asintomatici, con età media drammaticamente abbassata, adesso siamo sui 40 anni. Alcuni di questi focolai sono in crescita: la seconda settimana di giugno in Veneto avevamo 18 casi positivi ora sono più di 400; va detto però che la situazione non è preoccupante sul piano clinico dato che non ci sono soggetti in rianimazione o in area critica bisognosi di cure mediche. D’altro lato però non possiamo trascurare l’impatto epidemiologico dei nuovi focolai e dobbiamo spegnerli quanto prima perché c’è il rischio che il virus circoli come nella fase iniziale della pandemia. Un’attenzione particolare con rinnovato invito alla precauzione va posta alla movida notturna; assistiamo in questo caso ad assembramenti di persone senza mascherina di protezione in condizioni ambientali tali da favorire la diffusione del contagio (temperature più basse e mancata irradiazione solare). Per un’adeguata valutazione di queste nuove riaccensioni epidemiche andrebbe valutato il tempo di raddoppiamento dei casi di infezione in un ambito temporale di 3-4 settimane, per vedere quanto veloce è la crescita virale, se questa è esponenziale o lineare. Più il virus circola in questa fase e più probabilità esistono di avere una seconda ondata epidemica. Se ora le infezioni sono asintomatiche perché il virus si diffonde con difficoltà, con carica bassa, in condizioni ambientali di temperatura e umidità più favorevoli al virus, i contagi e la carica infettante potrebbero aumentare”.
Dobbiamo spegnere i focolai. E come?
“La tracciabilità elettronica dei soggetti infettati attuata con i telefonini era una buona idea, ma solo il 6 per cento della popolazione ha adottato l’App immuni. Personalmente ritengo che conti più la salute, che è un bene collettivo, che il diritto del cittadino della privacy. Alternativamente dovremo ricorrere ad un lavoro capillare di tracciamento ed individuazione dei contatti dei casi positivi ricorrendo anche a nuovi modelli matematici”.
Possiamo fare delle previsioni?
“Settembre è un mese in cui siamo ancora protetti dalle condizioni climatiche. Il virus è un parassita obbligato, che diversamente da altri microbi ha bisogno di un ospite per replicarsi. Cosa c’è tra virus e ospite? C’è l’ambiente. Continuiamo a usare le mascherine, a favorire il distanziamento. Dobbiamo fare tesoro della lezione impartitaci dalla pandemia: adottare nuovi e più efficaci sistemi di sorveglianza delle forme epidemiche-pandemiche, vaccinare oltre agli anziani anche i bambini per l’influenza stagionale, anticipare l’età per la vaccinazione anti-pneumococcica, fortificare i sistemi territoriali, la medicina del territorio, la Virologia quella che fa scienza non quella che va sui giornali. Investiamo in virologia evoluzionistica per studiare i virus negli animali infettati naturalmente prima che si affaccino all’interfaccia con l’uomo, in un Centro che allestisca sistemi di allerta e pronto intervento che metta insieme Economisti, Virologi evoluzionisti, Virologi veterinari, Immunologi. Non possiamo più pensare che sia un’unica competenza a fare la differenza, è un gioco di squadra. Di una squadra con persone di alto profilo e competenza”

Daniela Boresi
Direttore - Giornalista