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Le regole del vivere civile atto quinto. “Porgi l’altra guancia: Gesù Cristo e Mohamed Alì”

Succede talora che qualcuno cerchi di offenderti con parole o con azioni. Diciamo che ti dà (metaforicamente) uno schiaffo. Ti può dire che sei idiota, dileggiarti per un tuo difetto fisico, colpire fisicamente, darti del poveraccio fallito o anche sputarti addosso. Se tu non ti offendi per niente (non che fai finta di non offenderti, ma che proprio non ti fa né caldo né freddo) dimostri la sua incapacità di scalfire la sicurezza in te stesso. Se così succede, ci sentiamo persino soddisfatti di noi stessi. Succede quando consideriamo talmente irrilevante la persona che tenta di offenderci che quasi non ci accorgiamo di lei.

Bene, direte voi; fino a un certo punto, rispondo io. In questo modo, attestiamo la nostra superbia che non è un atteggiamento positivo, anzi è uno dei vizi capitali. Se reagissimo in qualche modo significherebbe “riconoscere” la persona che ti insulta e scendere al suo livello. Sicuramente, chi insulta o aggredisce non meriterebbe per principio la nostra attenzione. Allo stesso tempo, la superiorità della civiltà è sapere superare le barriere create da un inutile orgoglio per conseguire una migliore convivenza. Per altro verso, anche subire umilmente è sbagliato perché ti fa perdere la dignità. Una delle maggiori difficoltà in qualsiasi tipo di relazione umana è abbandonare la competizione e l’orgoglio e restare allo stesso livello di rispetto reciproco. Se uno non lo fa, l’unica possibilità di stabilire un generoso equilibrio dipende dalla sensibilità dell’altro.

Nel Vangelo secondo Matteo, Gesù dice: … ”se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra” (Matteo 5,38-42). Questa frase del Vangelo secondo Matteo è presentata sempre come un atto di umiltà e di sottomissione. Ma non è vero. Ce l’hanno insegnata così coloro che esercitavano un potere su di noi per lasciarci credere che a dare lo schiaffo fossero loro stessi o altri a cui dovevamo prestare obbedienza per superiorità gerarchica. Cercavano di fare passare l’idea di non ribellarsi all’autorità.

Don Milani, aveva messo in dubbio questa interpretazione sostenendo che “l’obbedienza non è una virtù”. Altri avevano già sostenuto questo concetto, ma mai un prete cattolico prima di lui. Porgere l’altra guancia, per certi versi è un atto di sicurezza di sé, il contrario della sottomissione. Non è nemmeno un atteggiamento arrogante e di sfida. Se è lecito il paragone, Gesù Cristo non si comporta come Mohamed Alì – non il profeta del quale in qualche modo era un collega, bensì il pugile – quando combatteva con George Foreman e lo incitava a colpirlo più forte (“Tutto qui George? Mi avevano detto che picchiavi forte!”). Si deve piuttosto dire che non reagire alla violenza allo stesso modo è un atteggiamento utile per non innescare spirali di crescente brutalità. Il porgere l’altra guancia, non è né un atto di umiltà né di superbia, come succede quando l’insulto passa completamente inosservato.

Se qualcuno ti insulta, verbalmente o fisicamente, è corretto reagire e confrontarti cercando di riportare il discorso sul piano della comunicazione. Ma restare del tutto indifferenti umilia chi ti offende e accresce la sua ira.

La morale: la persona civile cerca il dialogo anche con i maleducati, senza ignorarli e senza provocarli, per esempio quando il porgere l’altra guancia è solo un gesto di sfida.


Corrado Poli

Docente / Scrittore

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