Diretto da Everardo Gout, il quinto (se si tiene conto anche del prequel) capitolo della saga ideata da James DeMonaco si pone come uno dei migliori di tutti i girati targati The Purge. Questa volta la matrice politica, che sin dal titolo d’esordio ha fatto la sua comparsa, si amplia: la Notte del Giudizio, la sola notte all’anno durante la quale ogni crimine è concesso, non è più solo l’occasione per vendicarsi di chi si detesta, ma diviene una vera e propria campagna di pulizia etnica. Per l’occasione, il confine con il Mexico diventa il traguardo per aggiudicarsi la salvezza. Ed ecco tornare in gioco la politica: il patriottismo e l’immigrazione, la fuga per la sopravvivenza e la corsa alle armi. E l’eco trumpista che ancora evoca terrore e nell’oltre confine il concetto di “diverso”, che deve essere come tale, nell’ottica patriottica ed estremista a stelle e strisce, tenuto al di fuori del proprio campo d’azione. Ad ogni modo e con ogni mezzo. L’opera messa a segno dal messicano Gout, che per l’occasione mescola sapientemente i nativi con un gruppo di messicani, che assieme a milioni di cittadini Usa cercano di raggiungere il confine, presenta una società attuale sempre più dedita all’egoismo e al razzismo, allo strato sociale e al classismo. Un film, forse il più riuscito della saga, anche per spettacolarizzazione e tensione, che affronta il tristemente noto tema dell’immigrazione clandestina e del razzismo, ricorrendo alle sue armi principali: la violenza estetica e morale. Da vedere, senza se e senza ma.

Alessia Urrata