Nell’uso comune si intende per zucchero il saccarosio, sostanza naturale presente in alcune piante coltivate e particolarmente abbondante negli steli legnosi della canna da zucchero “Saccharum officinarum L.” o nella grossa radice della barbabietola da zucchero “Beta vulgaris L.”.
Lo zucchero bianco che oggi così comunemente utilizziamo per dolcificare caffè, bevande, torte e altri alimenti non era sostanza altrettanto nota fino a poco più di due secoli fa.
La storia dello zucchero di barbabietola si origina in Europa dai primi esperimenti di un chimico tedesco Andreas Margraaf che verso la metà del ‘700 riesce a cristallizzare lo zucchero estratto dalle radici di bietola, pianta fino ad allora coltivata solo come foraggio. Nel XIX secolo rapidamente sorgono e si diffondono in Germania, Francia ed Europa occidentale moderni zuccherifici la cui produzione supera alla fine del secolo quella dello zucchero di canna.
Oggi in Europa, regione a clima temperato, lo zucchero più diffuso è lo zucchero di barbabietola che rappresenta meno del 20 % della produzione mondiale mentre più dell’80 % della produzione complessiva si ottiene dalla canna da zucchero in altre regioni a clima tropicale.
L’ambiente italiano è considerato meno vocato alla coltivazione della barbabietola da zucchero rispetto ad altri Paesi del centro Europa. Le quote zucchero istituite dalla Unione Europea nel 1968 avevano permesso nel 2006 la presenza in Italia di 19 zuccherifici che lavoravano il prodotto proveniente da 250.000 ettari coltivati con una produzione pari al 75 % del fabbisogno nazionale. Le quote abolite nel 2017 su una decisione presa dall’UE nel 2006 hanno portato a una riduzione della coltura a 30.000 ettari, alla presenza dei soli due zuccherifici di Minerbio (BO) e di Pontelongo (PD) che producevano il 30 % del fabbisogno nazionale, e alla presenza di un terzo impianto a Mazara che produceva fruttosio cristallizzato dalla frutta. Nel mentre sono stati stanziati 700 milioni di euro dalla UE per la conversione degli zuccherifici in centrali a biomasse per bioenergia e bioraffineria (chimica verde).
L’estrazione dello zucchero dalle radici di barbabietola in zucchero raffinato passa attraverso diverse fasi di stabilimento. Lavaggio e taglio in “fettucce”, estrazione del sugo greggio in diffusori ad acqua calda con produzione di polpe esauste (bagassa), depurazione del sugo greggio per solfitazione e con latte di calce per alcalinizzazione, evaporazione e cottura del sugo greggio, numerose centrifugazioni del saccarosio fino alla cristallizzazione finale con separazione del melasso.
Oggi il settore bieticolo-saccarifero rappresenta una delle filiere tecnologicamente più avanzate dell’intero comparto agro-industriale. Grandi progressi si sono ottenuti nell’arco dell’ultimo secolo attraverso la disponibilità di seme monogerme, grazie alla messa a punto della semina di precisione, alla progressiva meccanizzazione di tutte le operazioni colturali, alla diminuzione dell’impiego di manodopera con la raccolta meccanizzata.
La produzione di zucchero di barbabietola secondo dati Fao 2018 è stata di 274.886.306 tonnellate, per lo più ottenute in alcuni Paesi dell’Europa del Nord, in Russia, negli Stati Uniti, in Turchia, in Cina e in Egitto.
Una percentuale molto risicata rispetto alla produzione di zucchero di canna che secondo dati Fao 2018 per il contributo di Brasile, India, Cina e Thailandia, principali produttori mondiali, si è attestata su 1.907.024.732 tonnellate, quasi l’87 % della produzione mondiale di zuccheri.
Sebastiano Negrini