In origine intitolato “Commissione Omicidio”, il thriller erede del filone argentiano “Il Gatto dagli occhi di giada” (1977) è il primo giallo diretto dal padovano Antonio Bido. Il riferimento al regista capitolino però, ad onor del vero, lo si deve soltanto al titolo zoomorfo, all’epoca un vero e proprio lasciapassare per il grande schermo dopo l’enorme successo della trilogia degli animali (“L’uccello dalle piume di cristallo”, “Il gatto a nove code”, “4 mosche di velluto grigio”). Per il resto infatti, Bido, pur adottando la matrice di stampo argentiana, rende sua una storia che sa risultare, in un panorama assolutamente conforme alle regole del mercato, non convenzionale. Gli echi ovviamente del cinema thriller tricolore si avvertono, ma soprattutto si vedono (la testimone oculare, l’indagine condotta da un cittadino, l’assassino seriale munito di impermeabile scuro), ma nonostante ciò il film di Bido evidenzia una propria personalità soprattutto quando, dalla Capitale, la trama conduce protagonista e spettatori a Padova, città natale del regista, trapiantato poi a Roma. Valida la prova attoriale di Corrado Pani e molto suggestive e cariche di suspence le musiche, che accompagnano una trama che non sfocia nel trauma o nella mera eredità, bensì ricollega gli anni Settanta all’epoca della Guerra, al razzismo, all’odio delle truppe tedesche. Il tutto in un’atmosfera morbosa che riconduce i delitti al tetto di una famiglia e al senso di vendetta misto all’ingiustizia, che innesca nel killer il ricordo e la sete di sangue. Un finale inaspettato e destabilizzante contribuisce a rendere il film di Bido una vera eccezione nel panorama del “cinema de paura” di casa nostra. Vedere per credere.

Alessia Urrata