John Carpenter viene normalmente accostato al cinema del terrore. E anche giustamente, essendo il regista di titoli destinati a segnare per sempre il genere quali lo slasher HALLOWEEN, con il quale ha dato inconsapevolmente vita a una delle saghe più longeve dell’horror, ma anche il fanta-horror THE THING o THEY LIVE. Ma se realmente dovessimo definire il cinema di Carpenter, allora potremmo certamente affermare che il suo è un cinema “politico”, e attraverso il quale il cineasta newyorkese mira a colpire senza se e senza ma, palesando esplicite prese di posizione (attacco al capitalismo e al consumismo, critica senza veli alla società) pur sperimentando sempre l’ambito dell’entertainment puro, e ricorrendo a sottogeneri mai scontati o d’elite, ma appunto “estremi”, eccessivi, spinti. Ma, come anticipato, le sue opere solo superficialmente possono essere associate alla fantascienza o all’horror: in realtà infatti sfruttano i meccanismi del genere per raccontarci i problemi e le contraddizioni della nostra quotidianità, di ciò che ci circonda. Insomma, Carpenter sfrutta il terrore per arrivare senza mezzi termini a noi. E proprio questo è il focus attorno al quale il critico Edoardo Trevisani, già autore di diversi volumi sul tema, sviluppa il suo saggio, edito da NPE, “John Carpenter – il regista da un altro mondo”.
«Quello di Carpenter – scrive l’autore – è un cinema che fagocita i generi e li ripropone secondo le direttive della sperimentazione e dell’intrattenimento, sotto il quale si sedimentano però le pulsioni, i malesseri e i turbamenti di una società in preda agli spasmi di mutazioni irreversibili». L’autore quindi centra il segno, firmando un volume che ripercorre l’intera carriera del regista di THE FOG e 1997: FUGA DA NEW YORK, che seppur ritiratosi da diverso tempo dalle scene, resta ancora oggi un punto di riferimento indiscusso. Nell’horror, ma non solo.

Alessia Urrata