Terza prova da regista per l’autore italiano di thriller più venduto al mondo, Io sono l’abisso di Donato Carrisi ben riposiziona lo scrittore dopo la poco riuscita prova de L’uomo del labirinto. Anche se l’elemento tortuoso e labirintico non manca mai nelle sue opere, come neppure in questa che ci presenta la vicenda di un netturbino, operante sul Lago di Como, che colleziona spazzatura perché quella, contrariamente alle persone, “non mente”. E attraverso i rifiuti, lo spazzino ricostruisce la vita delle sue designate vittime, donne sole di mezza età e in cerca di avventura. D’altronde, anche lui è solo. Anzi, a tenergli compagnia nella fatiscente abitazione, è un’ombra maschile che attraverso la spettrale voce lo guida nei suoi gesti e ne scatena gli impulsi.
Alla sera, infatti, sotto il nome di Miky, fa il giro dei locali notturni, con addosso un parrucchino e dei baffi finti, adescando le vittime sulle quali si abbatterà la sua furia: donne facili, sole, tutte bionde e tutte over 60. Proprio come quella madre che lo odiava e disprezzava.
E da qui, Carrisi costruisce un circuito narrativo che vedrà coinvolti un’adolescente in perenne conflitto con la sua famiglia e alle prese con i ricatti e gli abusi di alcuni ragazzi dediti a vizietti, una madre che cerca di proteggere le donne del luogo dalla violenza maschile e che ogni tanto rivede l’ex marito, un insegnante che vorrebbe che lei lasciasse la loro ex casa coniugale e col quale condivide una macchia indelebile nella loro storia. Tutti personaggi che, tristemente e nel segno del sangue, uniti dal destino si ritroveranno sul medesimo terreno sul quale il regista e giallista dissemina indizi e legami.
Ma Carrisi, che non ama contaminare di sangue ed efferatezze (almeno visive) i suoi racconti, si ritrova però a dover fare i conti con una trama e uno sviluppo narrativo forse più adatto alla serialità che non al grande schermo. E oltre 2 ore di girato, cercando di approfondire e presentare, lentamente e cautamente i personaggi, si fanno veramente difficili da reggere se a venir meno è l’elemento determinante del genere: la tensione. Carrisi punta più a sfondare i limiti imperturbabili della mente umana, ma a discapito dell’intrattenimento puro. Sul finale, tutti i tasselli si ricongiungono, concedendoci anche un epilogo drammatico e fortemente emotivo, d’impatto e chiarificatore, ma figlio di clichét che guardano al miglior cinema di genere di casa nostra, con Argento su tutti, che con l’introduzione del concetto di trauma ha rivoluzionato per sempre il giallo. Certamente una buona prova, ma che poteva puntare meno sull’eccessiva durata e il prolungamento poco giustificato delle inquadrature, e sfruttare magari più elementi come appunto il lago, al quale viene riservata solo una mera comparsa.

Alessia Urrata